Freitag, 30. Juni 2017

Riflessioni di Domenico II

Riflessioni di viaggio II

Il viaggio continua. Questa sera siamo a Deqem. Qui finisce la lunga catena di montagne Alpino-Himalayana, che parte dalle Alpi (Svizzera !) e ci ha accompagnato l’anno scorso attraverso l'Alborz in Iran, l’Hindu-Kush e il Pamir in Asia Centrale, e quest’anno il Karakoram e l’Himalaya; questa lunghissima catena è generata dalla spinta dell’Africa e della piattaforma indiana contro l’Eurasia, e ha dominato il nostro viaggio. Con oggi finisce la grande catena montuosa, finisce il Tibet e possiamo girare verso sud, attraverso lo Yunnan, verso l’Indocina.

Se guardate l’atlante, in questo angolo di mondo al confine tra Tibet, Yunnan, Assam (India) e Birmania, passano quattro grandi fiumi dell’Asia, molto vicini, a distanza di 30-50 km uno dall’altro; Brahmaputra, Irrawaddy, Mekong e Yangtze. La ragione di questo accavallarsi di fiumi è la storia tettonica di questa regione: se fate un cumulo di terra di qualche metro di dimensione (il Tibet) e ci fate cadere sopra acqua, questa scorre verso l’esterno in tanti rivoli, in ogni direzione; se ora con una ruspa (la piattaforma Indiana) spingete la terra, si creerà un sollevamento sul lato della ruspa (l’Himalaya) e tutti i rivoli che prima scendevano dal lato della ruspa si trovano compressi e scendono lateralmente. Così verso Est in uno spazio ristretto oggi abbiamo valli profonde, separate da montagne di oltre 7’000 metri, che portano l’acqua all’Assam e Bangla Dash (Brahmaputra), Birmania (Irrawaddy), Indochina (Mekong) e Cina (Yangtze). Questo succede anche a Ovest del Tibet, col fiume Indo, ma lì la regione è molto più arida, mentre sul lato orientale si scarica il monsone che viene dal Mar della Cina, e produce l'enorme quantità di acqua che serve tutta l’Asia occidentale. Erano 30 anni che volevo arrivare qua, ma fino a poco tempo fa questa regione di confine era chiusa ai turisti occidentali, e anche oggi arrivarci non è semplice!

Le principali strade del Tibet sono state realizzate e sono mantenute dai militari, e sono delle autentiche opere d’ingegno. Il ruolo dei militari si spiega con l’importanza strategica di raggiungere in ogni stagione e con qualsiasi mezzo l’intero territorio. La ricaduta di queste strade però va ben oltre l’importanza militare, e sta modificando radicalmente la faccia del Tibet. Le strade sono ottime, e i militari lavorano molto per tenerle in buona condizione.

La strada Kashgar-Lhasa è magnifica; attraversa il Tibet occidentale, una regione che non era abitata e dove tutt’ora tutta l’attività si concentra attorno a questa strada. Poco dopo Kashgar, la strada si inerpica fino a 5’000 metri e sale sull’altopiano tibetano. La parte occidentale è costantemente sopra di 4’500 metri, con vari passi oltre i 5’300 metri e catene e montagne fino a 6’500-7’000 metri. L’area è ancora oggi essenzialmente disabitata, i paesini sono piccoli e recenti. L’aria è rarefatta, la luce è molto diretta e intensa; al sole tutto brilla ed è caldo, se passa una nuvola diventa subito buio e freddo; questa luce così intensa crea giochi di ombre e colori spettacolari. La strada si snoda attraverso un’area ancora reclamata dall’India, costeggia il Karakoram e poi l’Himalaya, e offre una profusione di altipiani, montagne senza nome, ghiacciai, zone desertiche con grandi dune di sabbia, zone acquitrinose con acqua di disgelo, notti fredde con cieli stellati, laghi salati, mandrie di yak e tende di nomadi in lontananza, installazioni militari in ogni punto critico della strada. Un vero viaggio.

La Shanghai-Lhasa è una strada mitica in Cina, ha rappresentato per decenni la via per la frontiera. Lasciata Lhasa, dopo due giorni l'altopiano comincia a essere tagliato da valli profonde, l’aria diventa più calda e umida, riappare la vegetazione, con splendide foreste di conifere nelle valli e in alto distese a perdita d’occhio di rododendri coi fiori rosa. In fondo alle valli si scende sotto i 3’000 metri, in alto le montagne sbucano vertiginose sopra le nuvole con vette oltre i 7’000 metri. La strada e la guida si adattano alla topografia: la strada sale e scende in fondo a queste valli scoscese con lunghe serie di tornanti molto esposti, frane e cadute massi, a volte manca la carreggiata, il fiume è un chilometro sotto, a strapiombo in fondo alla valle, non ci si può distrarre un attimo. Ieri abbiamo costeggiato l’Irrawaddy in un canyon rosso con pareti verticali, poi siamo risaliti fino a 5’000 metri e poi ridiscesi nel canyon del Mekong, e poi risaliti di nuovo, sei passi e altrettante valli. Una giornata di guida faticosa e indimenticabile.
Una volta allontanatisi da Lhasa e lasciati i pulmini di turisti cinesi, sulla strada si incontrano lunghe colonne di camion militari e persino una di carri armati, il traffico locale (trattori, muli, pecore, moto, yak, bambini), grandi camion (sono più lunghi dei nostri TIR, sui tornanti non c’è spazio per nessuno), pullman a lunga percorrenza che collegano Cina e Tibet (detti sleepers perché non si fermano mai, si dorme a bordo), carovane di gipponi di turisti cinesi che vanno a Lhasa (hanno l’itinerario stampato sulla fiancata, sono numerati e in contatto radio tra loro), ciclisti cinesi che in gran numero, soli o in gruppo, con il bagaglio attaccato alla bici e coperto da un telo impermeabile, fanno la Pechino-Lhasa o Shanghai-Lhasa, si inerpicano su e giù per i passi, prendono pioggia e neve, spingono come i dannati sulle montagne dell'Himalaya (ne incontriamo 200-300 al giorno) e tanti pellegrini, uomini e donne che percorrono a piedi la strada che attraversa il Tibet per arrivare a Lhasa, alcuni secondo lo stile della chora (ogni pochi metri si stendono a terra sulla strada, dicono una preghiera, si rialzano e ripartono, dopo pochi metri si stendono a terra …, così per 1’000 chilometri). Insomma, tutto un mondo che si concentra sulla strada, affascinante.

L’acconciatura tradizionale maschile prevede un grande orecchino di turchese e oro all’orecchio destro e i capelli neri lunghi in due trecce, riportate in alto e annodate con un grosso cordone di lana rosso, e infilate in un grande anello di corno d’elefante. L’uomo poi veste un giaccone imbottito dalle maniche spropositate, d’estate tengono solo il braccio sinistro infilato, mentre la manica destra vuota penzola dietro la schiena e tocca terra. Fuori dalle città si incontrano tantissimi tibetani acconciati così, ne fanno un vanto dell’identità nazionale. Nelle città, a parte i pellegrini, se ne incontrano meno, e considerando l’enorme sforzo che la Cina sta facendo per concentrare la popolazione nelle città, è facile prevedere che tra una generazione ne rimarranno pochissimi. Un altro elemento della tenuta da festa era la pelliccia di tigre o di leopardo delle nevi, portata davanti come un grembiule; a fine anni 90 il Dalai Lama ha decretato che questa pratica danneggiava la natura e doveva finire, e dal giorno alla notte le pellicce sono sparite.

Il Tibet è notoriamente un altopiano a circa 5’000 metri di altezza, e l’altezza si sente. I primi giorni dopo la salita da Kashgar, salendo ai passi oltre 5’300 metri, manca il fiato, viene mal di testa e si fa fatica a dormire. Dopo due-tre giorni di acclimatamento va meglio, ma dormire oltre i 5’00 metri è sempre faticoso; il fiatone invece ricompare non appena si fa il minimo sforzo, tipo allacciarsi le scarpe o fare una salita di tre metri. I turisti cinesi hanno più problemi degli occidentali, anche perché appena arrivati a Lhasa li portano in alto; girano sempre con la bomboletta di ossigeno, i pullman dei turisti sono equipaggiati così da mantenere l’atmosfera interna arricchita di ossigeno (!), e nei migliori alberghi di Lhasa c’è una speciale sala ossigenata.

Il buddismo lamaista è l’identità stessa del popolo tibetano. Il regno della neve è rimasto sempre molto isolato, ma anche in contatto con Cina e India. Attorno al 800-900, il regno tibetano si è esteso a coprire tutto il Tibet e ha invitato i guru indiani per convertire la popolazione al buddismo, dalla religione Bon che avevano prima (e che sopravvive ancora oggi in aree remote); l’unità del regno è durata poco, e per secoli il paese è rimasto frazionato; nel 1400, col supporto dei mongoli che governavano a Pechino, l’intero Tibet è stato riunito sotto il Dalai Lama, il primo sovrano a governare anche come leader religioso, e da quella volta, con poche corte eccezioni, il governo del Dalai Lama è continuato fino al 1959, quando l’esercito cinese ha invaso il Tibet (nel calendario è chiamata la festa della liberazione, termine che non va tanto giù ai tibetani) e il quattordicesimo Dalai Lama è fuggito all'estero.
La rivoluzione culturale cinese degli anni sessanta ha preso di mira il clero buddista, con lo scopo evidente di sottomettere il popolo tibetano all’ordine cinese. Quasi tutti gli oltre 6’000 monasteri attivi prima dell’invasione sono stati rasi al suolo o seriamente danneggiati, la gran parte dei monaci rispedita a casa ad una vita normale e tutti i lama e i maggiori leader religiosi si sono rifugiati all’estero. Negli ultimi vent’anni la situazione è andata migliorando, con alcuni momenti bui. Oggi 1’271 monasteri (numero fissato per legge) sono stati ricostruiti o restaurati, e molti giovani tornano alla vita monastica, anche se i grandi monasteri che prima avevano fino a 10’000 monaci ognuno oggi ne contano qualche centinaio al massimo. Comunque il buddismo è tenuto sotto controllo, perché ritenuto fonte dei disordini che ci sono stati anche negli ultimi anni; l’ultima grossa crisi si è avuta nel 2008, e ha avuto il risultato di ridurre drasticamente il turismo occidentale; non se ne sente molto parlare, maneggi ultimi quattro anni oltre 160 tibetani (di cui molti monaci e suore) si sono immolati dandosi fuoco sulla piazza, come protesta contro il regime cinese. Il buddismo rimane molto visibile, molto impegnato e come detto rappresenta l’identità stessa del popolo tibetano.

Tanti aspetti del buddismo rimangono impressi. Alcuni esempi:
-  Per iniziare, la sbalorditiva complessità dell’olimpo buddista, con migliaia di diverse rappresentazioni del Buddha, dei vari mastri indiani e cinesi, predicatori, lama;  ogni monastero ha varie sale con migliaia di statue e dipinti di tutte le dimensioni. Poi ci sono le quattro principali sette del buddismo lamaista; ogni setta con diversi colori e costumi, diverse gerarchie ecclesiastiche e diverse combinazioni di statue nei monasteri.
-  I mandala (forse ricorderete che li coloravamo da piccoli) sono rappresentazioni del nirvana fatti con sabbia colorata, del diametro di un paio di metri; vedere un gruppo di monaci chini sul pavimento, che disegnano questo mandala lasciando cadere rivoli di sabbia colorata da lunche cannucce di metallo, con un’incredibile numero di colori e di dettagli, e canti buddisti di accompagnamento, è un’esperienza mistica; ci mettono un paio di giorni, poi dicono una preghiera, spazzano via la sabbia e la spargono in un lago sacro, per ricordare che tutte le cose belle sono effimere.
-  Qui non ci sono cimiteri. In Tibet ancora oggi, anche nelle città e nella capitale, non si seppelliscono i morti, ma si portano in un luogo particolare in alto, fuori città, e si lasciano agli avvoltoi; i morti di malattia infettiva e i bambini, vengono fatti a pezzettini e buttati nel fiume, da uno speciale gruppo di  becchini. Ai turisti occidentali non è permesso avvicinarsi a questi luoghi. 
-  Nel buddismo non c'è la messa settimanale, ma la chora giornaliera; la chora è il giro in senso orario attorno a tutte le statue, gli stupa, e attorno all’intero monastero. La chora attorno agli stupa è breve, e ne fanno tante, a ogni giro aggiungono un sassolino a un cumulo di sassolini, per contare quanti ne fanno. La chora si fa pregando con un rosario; alcuni la fanno stendendosi per terra, pregano, si alzano, fanno tre metri, poi di nuovo per terra; questo anche per la chora esterna al monastero, che a volte è lunga chilometri e si inerpica per la collina, su e giù per i gradini.
-  Una delle tre cause dell’infelicità umana, secondo il buddismo, è l’ignoranza; ogni monastero ha pareti coperte di grandi librerie che raccolgono i testi di preghiera; la parte inferiore di queste librerie è lasciata vuota, e i pellegrini che fanno la chora ci passano sotto a testa bassa, in modo da essere illuminati dalla sapienza dei testi sacri.

Fino ai primi anni di questo secolo, il turismo in Tibet era soprattutto occidentale. Poi, i cinesi hanno cominciato a viaggiare (in tutto il mondo); nel 2006 è stata aperta la ferrovia Pechino-Lhasa; nel 2008 ci sono stati grandi disordini con molte vittime in Tibet e Xinjiang, in origine come protesta contro il governo, poi degenerati in rivolta contro la popolazione cinese Han. Il risultato di questi eventi è che il turismo occidentale è quasi assente in Tibet, mentre il turismo cinese sta diventando di massa, e il Tibet si sta adattando. Lungo la Kashgar-Lhasa, per otto giorni non abbiamo incontrato nessun occidentale, un paio di gruppi li abbiamo incontrati al campo base dell’Everest e più gruppi a Lhasa, ma da quando abbiamo lasciato la capitale non abbiamo visto più un “viso pallido”. Il turismo cinese è concentrato nel raggio di un paio di giorni da Lhasa; arrivano in treno o in aereo e fanno un giro organizzato di 5-8 giorni, girando in pullman (da 30 passeggeri, di più non è permesso). Alberghi, ristoranti e negozi sono orientati al turismo cinese; praticamente nessuno parla inglese (a parte in pochi grandi alberghi di Lhasa). Quando ci incontrano sono molto sorpresi e curiosi, ci fanno tante foto, a noi, con noi, alla macchina, all’interno della macchina, alla targa; quasi nessuno sa dove si trovi la Svizzera, è come se venissimo da Marte.

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