Freitag, 30. Juni 2017

Riflessioni di Domenico II

Riflessioni di viaggio II

Il viaggio continua. Questa sera siamo a Deqem. Qui finisce la lunga catena di montagne Alpino-Himalayana, che parte dalle Alpi (Svizzera !) e ci ha accompagnato l’anno scorso attraverso l'Alborz in Iran, l’Hindu-Kush e il Pamir in Asia Centrale, e quest’anno il Karakoram e l’Himalaya; questa lunghissima catena è generata dalla spinta dell’Africa e della piattaforma indiana contro l’Eurasia, e ha dominato il nostro viaggio. Con oggi finisce la grande catena montuosa, finisce il Tibet e possiamo girare verso sud, attraverso lo Yunnan, verso l’Indocina.

Se guardate l’atlante, in questo angolo di mondo al confine tra Tibet, Yunnan, Assam (India) e Birmania, passano quattro grandi fiumi dell’Asia, molto vicini, a distanza di 30-50 km uno dall’altro; Brahmaputra, Irrawaddy, Mekong e Yangtze. La ragione di questo accavallarsi di fiumi è la storia tettonica di questa regione: se fate un cumulo di terra di qualche metro di dimensione (il Tibet) e ci fate cadere sopra acqua, questa scorre verso l’esterno in tanti rivoli, in ogni direzione; se ora con una ruspa (la piattaforma Indiana) spingete la terra, si creerà un sollevamento sul lato della ruspa (l’Himalaya) e tutti i rivoli che prima scendevano dal lato della ruspa si trovano compressi e scendono lateralmente. Così verso Est in uno spazio ristretto oggi abbiamo valli profonde, separate da montagne di oltre 7’000 metri, che portano l’acqua all’Assam e Bangla Dash (Brahmaputra), Birmania (Irrawaddy), Indochina (Mekong) e Cina (Yangtze). Questo succede anche a Ovest del Tibet, col fiume Indo, ma lì la regione è molto più arida, mentre sul lato orientale si scarica il monsone che viene dal Mar della Cina, e produce l'enorme quantità di acqua che serve tutta l’Asia occidentale. Erano 30 anni che volevo arrivare qua, ma fino a poco tempo fa questa regione di confine era chiusa ai turisti occidentali, e anche oggi arrivarci non è semplice!

Le principali strade del Tibet sono state realizzate e sono mantenute dai militari, e sono delle autentiche opere d’ingegno. Il ruolo dei militari si spiega con l’importanza strategica di raggiungere in ogni stagione e con qualsiasi mezzo l’intero territorio. La ricaduta di queste strade però va ben oltre l’importanza militare, e sta modificando radicalmente la faccia del Tibet. Le strade sono ottime, e i militari lavorano molto per tenerle in buona condizione.

La strada Kashgar-Lhasa è magnifica; attraversa il Tibet occidentale, una regione che non era abitata e dove tutt’ora tutta l’attività si concentra attorno a questa strada. Poco dopo Kashgar, la strada si inerpica fino a 5’000 metri e sale sull’altopiano tibetano. La parte occidentale è costantemente sopra di 4’500 metri, con vari passi oltre i 5’300 metri e catene e montagne fino a 6’500-7’000 metri. L’area è ancora oggi essenzialmente disabitata, i paesini sono piccoli e recenti. L’aria è rarefatta, la luce è molto diretta e intensa; al sole tutto brilla ed è caldo, se passa una nuvola diventa subito buio e freddo; questa luce così intensa crea giochi di ombre e colori spettacolari. La strada si snoda attraverso un’area ancora reclamata dall’India, costeggia il Karakoram e poi l’Himalaya, e offre una profusione di altipiani, montagne senza nome, ghiacciai, zone desertiche con grandi dune di sabbia, zone acquitrinose con acqua di disgelo, notti fredde con cieli stellati, laghi salati, mandrie di yak e tende di nomadi in lontananza, installazioni militari in ogni punto critico della strada. Un vero viaggio.

La Shanghai-Lhasa è una strada mitica in Cina, ha rappresentato per decenni la via per la frontiera. Lasciata Lhasa, dopo due giorni l'altopiano comincia a essere tagliato da valli profonde, l’aria diventa più calda e umida, riappare la vegetazione, con splendide foreste di conifere nelle valli e in alto distese a perdita d’occhio di rododendri coi fiori rosa. In fondo alle valli si scende sotto i 3’000 metri, in alto le montagne sbucano vertiginose sopra le nuvole con vette oltre i 7’000 metri. La strada e la guida si adattano alla topografia: la strada sale e scende in fondo a queste valli scoscese con lunghe serie di tornanti molto esposti, frane e cadute massi, a volte manca la carreggiata, il fiume è un chilometro sotto, a strapiombo in fondo alla valle, non ci si può distrarre un attimo. Ieri abbiamo costeggiato l’Irrawaddy in un canyon rosso con pareti verticali, poi siamo risaliti fino a 5’000 metri e poi ridiscesi nel canyon del Mekong, e poi risaliti di nuovo, sei passi e altrettante valli. Una giornata di guida faticosa e indimenticabile.
Una volta allontanatisi da Lhasa e lasciati i pulmini di turisti cinesi, sulla strada si incontrano lunghe colonne di camion militari e persino una di carri armati, il traffico locale (trattori, muli, pecore, moto, yak, bambini), grandi camion (sono più lunghi dei nostri TIR, sui tornanti non c’è spazio per nessuno), pullman a lunga percorrenza che collegano Cina e Tibet (detti sleepers perché non si fermano mai, si dorme a bordo), carovane di gipponi di turisti cinesi che vanno a Lhasa (hanno l’itinerario stampato sulla fiancata, sono numerati e in contatto radio tra loro), ciclisti cinesi che in gran numero, soli o in gruppo, con il bagaglio attaccato alla bici e coperto da un telo impermeabile, fanno la Pechino-Lhasa o Shanghai-Lhasa, si inerpicano su e giù per i passi, prendono pioggia e neve, spingono come i dannati sulle montagne dell'Himalaya (ne incontriamo 200-300 al giorno) e tanti pellegrini, uomini e donne che percorrono a piedi la strada che attraversa il Tibet per arrivare a Lhasa, alcuni secondo lo stile della chora (ogni pochi metri si stendono a terra sulla strada, dicono una preghiera, si rialzano e ripartono, dopo pochi metri si stendono a terra …, così per 1’000 chilometri). Insomma, tutto un mondo che si concentra sulla strada, affascinante.

L’acconciatura tradizionale maschile prevede un grande orecchino di turchese e oro all’orecchio destro e i capelli neri lunghi in due trecce, riportate in alto e annodate con un grosso cordone di lana rosso, e infilate in un grande anello di corno d’elefante. L’uomo poi veste un giaccone imbottito dalle maniche spropositate, d’estate tengono solo il braccio sinistro infilato, mentre la manica destra vuota penzola dietro la schiena e tocca terra. Fuori dalle città si incontrano tantissimi tibetani acconciati così, ne fanno un vanto dell’identità nazionale. Nelle città, a parte i pellegrini, se ne incontrano meno, e considerando l’enorme sforzo che la Cina sta facendo per concentrare la popolazione nelle città, è facile prevedere che tra una generazione ne rimarranno pochissimi. Un altro elemento della tenuta da festa era la pelliccia di tigre o di leopardo delle nevi, portata davanti come un grembiule; a fine anni 90 il Dalai Lama ha decretato che questa pratica danneggiava la natura e doveva finire, e dal giorno alla notte le pellicce sono sparite.

Il Tibet è notoriamente un altopiano a circa 5’000 metri di altezza, e l’altezza si sente. I primi giorni dopo la salita da Kashgar, salendo ai passi oltre 5’300 metri, manca il fiato, viene mal di testa e si fa fatica a dormire. Dopo due-tre giorni di acclimatamento va meglio, ma dormire oltre i 5’00 metri è sempre faticoso; il fiatone invece ricompare non appena si fa il minimo sforzo, tipo allacciarsi le scarpe o fare una salita di tre metri. I turisti cinesi hanno più problemi degli occidentali, anche perché appena arrivati a Lhasa li portano in alto; girano sempre con la bomboletta di ossigeno, i pullman dei turisti sono equipaggiati così da mantenere l’atmosfera interna arricchita di ossigeno (!), e nei migliori alberghi di Lhasa c’è una speciale sala ossigenata.

Il buddismo lamaista è l’identità stessa del popolo tibetano. Il regno della neve è rimasto sempre molto isolato, ma anche in contatto con Cina e India. Attorno al 800-900, il regno tibetano si è esteso a coprire tutto il Tibet e ha invitato i guru indiani per convertire la popolazione al buddismo, dalla religione Bon che avevano prima (e che sopravvive ancora oggi in aree remote); l’unità del regno è durata poco, e per secoli il paese è rimasto frazionato; nel 1400, col supporto dei mongoli che governavano a Pechino, l’intero Tibet è stato riunito sotto il Dalai Lama, il primo sovrano a governare anche come leader religioso, e da quella volta, con poche corte eccezioni, il governo del Dalai Lama è continuato fino al 1959, quando l’esercito cinese ha invaso il Tibet (nel calendario è chiamata la festa della liberazione, termine che non va tanto giù ai tibetani) e il quattordicesimo Dalai Lama è fuggito all'estero.
La rivoluzione culturale cinese degli anni sessanta ha preso di mira il clero buddista, con lo scopo evidente di sottomettere il popolo tibetano all’ordine cinese. Quasi tutti gli oltre 6’000 monasteri attivi prima dell’invasione sono stati rasi al suolo o seriamente danneggiati, la gran parte dei monaci rispedita a casa ad una vita normale e tutti i lama e i maggiori leader religiosi si sono rifugiati all’estero. Negli ultimi vent’anni la situazione è andata migliorando, con alcuni momenti bui. Oggi 1’271 monasteri (numero fissato per legge) sono stati ricostruiti o restaurati, e molti giovani tornano alla vita monastica, anche se i grandi monasteri che prima avevano fino a 10’000 monaci ognuno oggi ne contano qualche centinaio al massimo. Comunque il buddismo è tenuto sotto controllo, perché ritenuto fonte dei disordini che ci sono stati anche negli ultimi anni; l’ultima grossa crisi si è avuta nel 2008, e ha avuto il risultato di ridurre drasticamente il turismo occidentale; non se ne sente molto parlare, maneggi ultimi quattro anni oltre 160 tibetani (di cui molti monaci e suore) si sono immolati dandosi fuoco sulla piazza, come protesta contro il regime cinese. Il buddismo rimane molto visibile, molto impegnato e come detto rappresenta l’identità stessa del popolo tibetano.

Tanti aspetti del buddismo rimangono impressi. Alcuni esempi:
-  Per iniziare, la sbalorditiva complessità dell’olimpo buddista, con migliaia di diverse rappresentazioni del Buddha, dei vari mastri indiani e cinesi, predicatori, lama;  ogni monastero ha varie sale con migliaia di statue e dipinti di tutte le dimensioni. Poi ci sono le quattro principali sette del buddismo lamaista; ogni setta con diversi colori e costumi, diverse gerarchie ecclesiastiche e diverse combinazioni di statue nei monasteri.
-  I mandala (forse ricorderete che li coloravamo da piccoli) sono rappresentazioni del nirvana fatti con sabbia colorata, del diametro di un paio di metri; vedere un gruppo di monaci chini sul pavimento, che disegnano questo mandala lasciando cadere rivoli di sabbia colorata da lunche cannucce di metallo, con un’incredibile numero di colori e di dettagli, e canti buddisti di accompagnamento, è un’esperienza mistica; ci mettono un paio di giorni, poi dicono una preghiera, spazzano via la sabbia e la spargono in un lago sacro, per ricordare che tutte le cose belle sono effimere.
-  Qui non ci sono cimiteri. In Tibet ancora oggi, anche nelle città e nella capitale, non si seppelliscono i morti, ma si portano in un luogo particolare in alto, fuori città, e si lasciano agli avvoltoi; i morti di malattia infettiva e i bambini, vengono fatti a pezzettini e buttati nel fiume, da uno speciale gruppo di  becchini. Ai turisti occidentali non è permesso avvicinarsi a questi luoghi. 
-  Nel buddismo non c'è la messa settimanale, ma la chora giornaliera; la chora è il giro in senso orario attorno a tutte le statue, gli stupa, e attorno all’intero monastero. La chora attorno agli stupa è breve, e ne fanno tante, a ogni giro aggiungono un sassolino a un cumulo di sassolini, per contare quanti ne fanno. La chora si fa pregando con un rosario; alcuni la fanno stendendosi per terra, pregano, si alzano, fanno tre metri, poi di nuovo per terra; questo anche per la chora esterna al monastero, che a volte è lunga chilometri e si inerpica per la collina, su e giù per i gradini.
-  Una delle tre cause dell’infelicità umana, secondo il buddismo, è l’ignoranza; ogni monastero ha pareti coperte di grandi librerie che raccolgono i testi di preghiera; la parte inferiore di queste librerie è lasciata vuota, e i pellegrini che fanno la chora ci passano sotto a testa bassa, in modo da essere illuminati dalla sapienza dei testi sacri.

Fino ai primi anni di questo secolo, il turismo in Tibet era soprattutto occidentale. Poi, i cinesi hanno cominciato a viaggiare (in tutto il mondo); nel 2006 è stata aperta la ferrovia Pechino-Lhasa; nel 2008 ci sono stati grandi disordini con molte vittime in Tibet e Xinjiang, in origine come protesta contro il governo, poi degenerati in rivolta contro la popolazione cinese Han. Il risultato di questi eventi è che il turismo occidentale è quasi assente in Tibet, mentre il turismo cinese sta diventando di massa, e il Tibet si sta adattando. Lungo la Kashgar-Lhasa, per otto giorni non abbiamo incontrato nessun occidentale, un paio di gruppi li abbiamo incontrati al campo base dell’Everest e più gruppi a Lhasa, ma da quando abbiamo lasciato la capitale non abbiamo visto più un “viso pallido”. Il turismo cinese è concentrato nel raggio di un paio di giorni da Lhasa; arrivano in treno o in aereo e fanno un giro organizzato di 5-8 giorni, girando in pullman (da 30 passeggeri, di più non è permesso). Alberghi, ristoranti e negozi sono orientati al turismo cinese; praticamente nessuno parla inglese (a parte in pochi grandi alberghi di Lhasa). Quando ci incontrano sono molto sorpresi e curiosi, ci fanno tante foto, a noi, con noi, alla macchina, all’interno della macchina, alla targa; quasi nessuno sa dove si trovi la Svizzera, è come se venissimo da Marte.






16 Tappa: Markham - Feila Si - Yunnan

Purtroppo la pioggia e una nebbiolina, segno dell'arrivo della stagione delle piogge, ci accompagnano tutto il giorno. Oggi la tappa non era lunga, abbiamo seguito prima una valle verde con tante case tradizionali, molto belle e decorate, ai piedi della montagna. Il lavoro dei campi è ancora a mano, ma sono curatissimi. Ci fermiamo in un monastero locale, 4 vecchietti sdendati stanno facendo la cora, un monaco ci apre la struttura, campagnola, ma con i suoi murales, budda decorati e offerte di burro di yak. Saliamo un primo passo in una foresta verde, che si intravede a malapena, mentre dall'altra parte a precipizio e più brulla vediamo il canyon  del Mekong. Peccato per le foto, ma la luce manca del tutto. Attraversiamo senza accorgercene il "confine" Tibet - Yunnan, che in questa parte é ancora in prevalenza abitata da tibetani. In quest'area si trova l'unica chiesa cattolica, con ancora un prete, fondata dai missionari francesi. E bufa con una struttura tibetana e il suo campanile bianco. Attrazione lungo la strada sono le saline, per cui decidiamo di investire nel biglietto e nella tenuta della nostra macchina. In effetti la strada , molto stretta e a picco, scende quasi a precipizio sul fiume, in aggiunta alla pioggia e quindi al fondo viscido e alla caduta massi.
Quasi mi pento di aver insistito, ma Domenico è molto attento. Attraversiamo il ponte e si apre un villaggio con case tradizionali, la strada si ferma ad un parcheggio per turisti appena finito.
Procediamo a piedi e arriviamo a delle terrazze su palafitte, su cui viene lasciato seccare la brina proveniente da sorgenti termali sul fiume, che la gente recupera e stende. Oggi piove quindi sono allagate, ma sui cartelli c'è la spiegazione che una parte della valle ha il sale rosa, l'altra riva bianco e che questa salina e attiva da almeno 1300 anni ed era l'unico sale che era trasportato in Tibet. Penso che sia il famoso sale rosa dell'Himalaya, non si pensa mai da dove e come vengano certi prodotti. Le signore locali ne vendono 3 tipi, uno da usare come sale da bagno, rosso marrone come la roccia intorno, uno bianco e uno rosato (il colore rosa piu intenso viene prodotto a marzo). Kalsang che non era mai stato qui, cerca di rispondere alle mille domande tecniche di Domenico, chiedendo il parere della gente. Poi entusiasta ci invita a mangiare in una casa locale i migliori noodle del Tibet. In effetti entriamo in una casa tradizionale e 4 donne ci preparano i noodle, servendoli in un modo strano: prima mettono i tagliolini in una coppetta, a cui aggiungono separatamente il brodo, la carne condita già cotta (in questi caso di maiale) e qualche foglia di erbetta e mentre mangi la coppetta te ne aggiungono man mano degli altri, sempre serviti in una coppa. Noi ci siamo fermati al 4 refill, la guida 8. La risalita è stata ardita ma con successo, breve pausa nel museo locale senza elettricità, con foto del trasporto del sale e poi di nuovo in macchina. Pensavo che lungo il fiume fosse più facile guidare e mi sono offerta; ahimè era una specie di gincana tra sassi e massi caduti, fango e pozze, corsie strette a senso unico non  definito, al limite con il fiume impetuoso e spesso senza barriera o in frana. Ho apprezzato le strade cinesi e sono stata contenta di non aver fatto tutto il viaggio cosi. Abbandonato il Mekong siamo risaliti in quota e ora siamo in camera con vista sul ghiacciaio  del Kawa Carpo, che abbiamo solo intravisto, ma siamo fiduciosi (!) per l'alba.

Donnerstag, 29. Juni 2017

Passo odierno


15 Tappa: Rawok-Markham


La tappa è lunga, il tempo piovoso, ma facciamo subito una deviazione di qualche chilometro per vedere il riflesso delle montagne nel lago.Quando torniamo la strada è bloccata per una frana. Non ci sono alternative che aspettare, per fortuna non a lungo. La strada è stretta e corre sul bordo di fiumi impetuose in gole strette, con caduta sassi, banchine a precipizio, camion.
Domenico guida su e giu per 6 passi tra i 4800 metri e i 5060, separati da valli profonde, con fiumi di colore rosso mattone (affluente dell'Irawadi), marrone (Mekong), cambiando marcia almeno 2000 volte, sulle serpentine strette e a precipizio. Incontriamo per fortuna nell'altra direzione 6 colonne militari ognuna costituita da 30 camion, ci sono TIR sovramisura che salgono lentamente e poche auto private, che corrono e sorpassano come folli. Nei pochi tratti in cui la valle si allarga, casette sparse, in cui viene messo a seccare il grano sul tetto, portato sui somari, campi gialli di colza. Lungo la strada si interrompe l'asfalto e parte un cantiere infinito, con edifici adibiti ad abitazione, non si sa per chi, e negozi e ristoranti. Poi riparte l'asfalto, fino al prossimo incrocio. Tanti yak, mucche e pecore che attraversano la strada ignari del pericolo. La strada sembra non finire mai, è quasi impossibile fare fermate e fotografie, perche non ci sono piazzole di sosta e quando la strada è libera il fiume e talmente lontano che non rende.Molto affascinante. I posti di blocco fermano la nostra strada, escono di solito tutti i poliziotti, ma la comunicazione è scarsissima. Arriviamo belli sfatti in hotel, avrei accettato qualunque cosa, ma non ci va male.Siamo cosi stanchi che decidiamo di mangiare in albergo, risulta che siamo gli unici in una sala grande con 7 persone a disposizione, senza menu in inglese e senza foto. Proviamo ma viene chiamata la guida, che ordina per noi, buono e tanto.
Sono diventata una maestra delle bacchette, come testimoniano le macchie sulle magliette e pantaloni, solo per i dumpling mi faccio dare ancora un cucchiaio!

Mittwoch, 28. Juni 2017

14 Tappa: Tashigang -Rawok

Questo paese continua a stupirci, stamattina pioveva e c'era una nebbia che nascondeva le montagne. Domenico doveva lavorare e ci siamo piazzati a colazione in questo albergo a 5 stelle incredibile. Io oltre a provare di tutto, ho chiacchierato con il manager, che mi ha mostrato le foto con le montagne innevate che si rispecchiano sul lago artificiale, fatto apposta e sulla piscina dei pesci. Volevo assaggiare la tzamba, tipica per colazione in Tibet, e ho chiesto aiuto nel preparare gli ingredienti: farina d'orzo, te al burro di yak e nel mio caso un po di zucchero. Il cameriere cinese era incapace, ho dovuto aggiungere una sacco di farina, mentre il manager mi incoraggiava a fare le polpette a mano. Insomma ho creato una crema tipo nutella..
La strada corre lungo il fiume, che si ingrossa e diventa sempre più impetuoso, la foresta è verdissima, la strada ottima. Incontriamo i primi dei circa 300 ciclisti che si arrampicano su e giu, carichi e vestitissimi per arrivare a Lhasa. Per strada ci sono (pochi) pellegrini che arrivano fino a Lhasa anche loro, prostrandosi quando non passano le macchine.
I fiumi si congiungono, diventano sempre più grossi, cambiano direzione. La strada è praticamente finita l'anno scorso, ma la manutenzione e indispensabile, considerando la zona di frane, il fiume che erode, i camion che la usano. Passiamo in un punto in cui si vedono ancora il ponte sospeso pedonale, il vecchio ponte e il nuovo ponte, che ha un disegno avveniristico. Risaliamo lungo un'altro fiume, anche lui torrentizio, pieno di acqua grigia. Esce il sole, si vedono le vette innevate, ci sono intorno dei 6000-7000, siamo ai confini con Buthan e India. Per fare compagnia alla nostra guida, che rimane una persona schiva e riservata, ci fermiamo a mangiare in uno dei tanti paesi sulla strada, con luminarie da grande città, polverosa e piena di localini, che a noi sembrano tutti uguali. Lui ordina i ravioli cinesi e noi anche. In tutti i locali c'è wifi, controlliamo quindi email e notizie.
Risalendo la valle, cambia la vegetazione, ritornano i pini, di diversi tipi. Facciamo una deviazione per andare a vedere il ghiacciaio Mudui, considerato tra i primi 6 in Cina. Anche alla base stanno costruendo alberghi per turisti (cinesi). Si sale con una strada ottima per 7 km, poi al parcheggio si sceglie o il cavallo o il sentiero di 2 km. Nel parcheggio ci sono solo gipponi o SUV, i pulmann non arrivano qui. Noi optiamo per la seconda opzione, molto sportiva e in maniche corte, ma con crema, a circa 3800 metri di quota saliamo lungo un sentiero lastricato con panchine di cemento, simil legno d'albero e migliaia di divieti e richiami a salvare l'ambiente e non buttare sigarette, tuttavia inascoltati. I gruppetti di cinesi sono tutti coperti di vestiti strambi, mascherine, fazzoletti, quando arriviamo alla piattaforma siamo fotografatissimi. Il ghiacciaio è veramente bello, con un piccolo laghetto grigio, con pezzi di ghiaccio galleggianti, formato da due rami. Le montagne sono bianchissime.
Io decido difronte alle due possibilità di fermata, la piu vicina su un lago, invece di proseguire. La guida garantisce una sistemazione basic. La strada risale sulla valle, c'è una luce eccezionale, e arrivati al lago, il,paese sembra veramente deprimente. Ma era solo una frazione e continuiamo. Sulla nostra destra sul lago si apre una struttura incomprensibile, sembra una torre di aereoporto, con container, una piattaforma sul lago, molto ancora in costruzione.La guida va in perlustrazione e mi chiama molto convinto: nei container hanno creato delle stanze nuovissime, con bagno funzionale di alta classe. Io rido e convinco Domenico a dormire qui. il paese offre ben poco, mangiamo cibo cinese e torniamo nel nostro hotel, pronta a bere una glappa cinese...invece ci sono solo birre europee e il karakoe.

Dienstag, 27. Juni 2017

13 Tappa: Draksumso -Tashigang


Mettiamo la sveglia per vedere l'alba, io mi preparo in fretta e mi metto sul balcone, Domenico deve invece lavorare per un paio d'ore, visto che prevediamo di dormire in casa di una famiglia in montagna. Facciamo una breve colazione cinese, poi io mi metto in relax a leggere sulla terrazza. I cinesi sono tutti partiti, è finalmente caldo. Andiamo a piedi al piccolo monastero raggiungibile con una passerella dal centro visitatori al lago. In realtà rimaniamo sbigottiti dalle costruzioni, dalle passerelle, dai pontili con gommoni e barche veloci, ma godiamo la visita e la foresta. Mentre stiamo per andare via, arriva il primo bus! C'è un bel sole e rifacciamo la strada seguendo il fiume che viene sbarrato da dighe e scende e salta impetuoso, lungo la valle prati di fiori gialli, e sulla strada maiali, yak, mucche.
Ci dobbiamo fermare a Bahi, la cittadina vicina per le registrazioni di rito, fa una gran caldo e la città è tutta nuova, impressionante quanto stiano costruendo. Bisogna fare una sosta prima che la polizia apra, per cui decidiamo di provare il piatto locale, il "pot" di pollo: ci portano su nostra richiesta solo una porzione: un pentolone di terracotta con un brodo in cui è contenuto un pollo a pezzi e tante verdure. In una coppa si prepara il brodo, da bere con erba cipollina e prezzemolo fresco, nell'altra si prepara una salsina e si mettono i pezzi di pollo. Il tutto con le bacchette..alla fine del pollo si mettono nel brodo verdure fresche, lattuga e spinaci. Belli pieni, dobbiamo aspettare ancora un'ora e viandi shopping, in una strada tipo via frattina a roma.
I prezzi sono quasi europei.
Ottenuto il permesso, la guida ci informa che non potremo dormire  da una famiglia, ma in hotel. Visitiamo il monastero di Lalilang, piccolo e appoggiato su una collina di pini, poi riattaversiamo la valle, dove corre un'autostrada, una ferrovia in costruzione, una città in espansione, un fiume impetuoso per risalire al passo di Seqi La (4832 metri) lungo bischi di oini, che passano a cespugli di rododendri in fiore. Gli alberi sono altissimi e in lontananza si vedono le cime innevate tra le nuvole di alcuni 7000. Superiamo numerosi bus di turisti cinesi e speriamo di avere una stanza. La guida e  tranquilla. Il paesaggio e molto bello, la temperatura e diminuita notevolmente, il cielo è scuro. Arriviamo a valle dove di vedono alcune case di mattoni con rifiniture di legno, relativamente nuove. Passiamo di corsa nella nostra idea in cerca dell' hotel nel paesino vicino. Ci troviamo invece in una città creata dal nulla, piena di hotel nuovi di zecca, stile hollywoodiano pseudo tibetano....un albergo nuovissimo, enorm con una stanza ampia, dotato di camino(finto) con legna, molto moderno e di gran stile. Io vorrei solo due momo, la guida è molto incerta. Ci porta nella cittadina finta, con piazze, statue, negozi e ristoranti in costruzione, ma alla fine entriamo nell'unica tea house tibetana.

Montag, 26. Juni 2017


12 Tappa: Lhasa - Draksumso


La mattina presto ricarichiamo la macchina e ci mettiamo in moto, abbiamo una tappa lunga e di strada mista. Infatti si parte con un autostrada nuovissima, non ancora conclusa e dopo circa 50 km l'abbandoniamo per visitare  il monastero di Ganden. Il monastero e la zona che visiteremo è nella zona che più ha subito la rivoluzione culturale ed il. Onastero è in fase di ricostruzione. All'interno si nota poco, la struttura, i dipinti, le statue e le sculture sono sempre molto simili, la storia invece è differente. C'è una leggera nebbiolina e qualche gruppo di monache giovani, tutte rasate. La strada corre parallela al fiume e all'autostrada in costruzione, ci sono buche notevoli e tratti fangosi, con molto traffico in tutte e due le direzioni. Lascio la guida a Domenico, che cosi non dorme. I posti di blocco sono pochi, ci lasciano andare. Al passo di Pa-La (5013 metri) ci sono le statue di enormi yak e tutte le macchine e moto che abbiamo sorpassato. Finiamo nelle foto di tutti, siamo molto popolari e tutti si stupiscono soprattutto per i miei sorpassi. Nel frattempo nell'altra direzione sta salendo una colonna di autoveicoli militati, compreso carriarmati, ci sorridono ma è difficile fare sorpassi. La valle segue il fiume che diventa sempre piu impetuoso, cambia il panorama, arrivano gli alberi, specie di querciole e pini. Ci fermiamo in un punto di polizia a mangiare noodle islamici e verdure saltate. Cambia anche lo stile delle case, piu colorate, nonché i costumi tradizionali, in particolare il cappellino. Si intravedono tra le bandierine colorate ponti sospesi, anacronistici, considerando i piloni dell'autostrada, ci fermiamo ad un ponte di legno, usato con i cavalli per la via del the. Il cielo si annuvola e sembra che ci sia un temporale, ma decidiamo lo stesso di salire al lago Tsodzongo ( i cinesi usano un altro nome), che è la meta preferita del giro tibetano dei cinesi. Infatti incontriamo sulla strada molti pulmini di turisti in discesa. La strada risale una valle con più dighe e salti, la strada è invasa da maialini, yak, mucche e pecore, l'ambiente è molto bucolico. Arriviamo all'ufficio biglietti, un centro modernissimo pieno di sportelli e pronto ad attendere orde di turisti, per fortuna è tardi e non ci sono pulmini. Otteniamo il permesso come primi stranieri di dormire nel resort sul lago, camera con vista. Sul lago si aprono diverse vette a 7000 metri il cielo e azzurro co qualche nuvola. Il paesaggio e idillico, ed io scrivo il blog con il suono di danze cinesi e il tramonto.
La cena con una trota del lago è molto appetitosa ( e costosa).

Sonntag, 25. Juni 2017

Lhasa

Dopo una breve nuotata nella splendida piscina dello Shangri-La, sotto una leggera pioggerellina, partiamo per la visita turistica di Lhasa. Cominciamo con la kora del Potala ( circuito esterno) con molti pellegrini. I negozietti sono strapieni di cibo, tra cui panini, yogurt, e patate fritte sul momento, che noi ovviamente prendiamo subito limitando la razione di peperoncino e altre spezie. Oggi e domenica ed e tutti aperto, ma al circuito sono presenti molte generazioni, con tanti bimbi piccoli e nonni di età indefinibile, vestiti tradizionali ma anche tanta roba moderna. La guida ci aspetta con ansia perchè i biglietti del potala oltre ad essere molto costosi e con diritti di prenotazione per un tempo definito vanno rispettati. Effettivamente c'è una calca notevole, soprattutto di cinesi e una coda che funziona fino ad ottenere l'accesso ma poi diventa una bolgia, tra cinesi e pellegrini che spingono in tutte le direzioni. Diciamo che questo aspetto risulta dominante perchè si ha solo un'ora a disposizione e le camere sono strette, peccato. La storia si intreccia con la politica e la geografia, le tradizioni e la mitologia. Le statue crescono, perché la gente offre oro e vengono aggiunti pezzi o rifacimenti, la manutenzione dell' intero complesso vieneSovvenzionata dai biglietti e il problema principale risulta il fuoco ( mi sono chiesta cosa potrebbe succedere in caso di incendio). Durante la rivoluzione culturale il palazzo è stato risparmiato, in ogni stanza c'è il trono vuoto del dalai lama.
Finita la breve e intensa visita del Potala, non del tutto soddisfacente, chiedo di fare una pausa pranzo leggera. Qui non abbiamo visto dolci o dessert, ma la guida capisce il mio desiderio e ci fa entrare in un negozio microscopico di sciarpe e vestiti per monaci, nel cui retrobottega mangiano pellegrini e monaci. Ordiniamo un sweet tee (te con latte), yogurt di yak, tsanga( palline di burro di yak e farina di orzo, per noi anche con zucchero) e pane locale. Mangiamo temendo il peggio, ma rimaniamo sanissimi.
Dopo pranzo torniamo nella piazza principale difronte al tempio, c'è meno polizia di ieri sera, ma la guida mi indica i cecchini sui tetti pronti ad intervenire. In realtà, mentre i pellegrini fanno i giri, dentro al tempio ci sono prevalentemente turisti cinesi e qualche volta gruppo europeo. La storia del tempio è molto complicata, ma di origine nepalese (legno di sandalo e decorazione lignee delle porte, stile Katmandu) e insieme cinese ( tetti d'oro) con all'interno una delle due statue che rappresentano Budda giovane.
Domenico prova a questionare sulle singole interpretazioni, ma si sta facendo una cultura e riconosce le foto dei diversi lama e forme di Budda. Io sono e resto molto più ignorante. Liberiamo la guida e ci scateniamo per lo shopping, che ci dà grandi soddisfazioni. Figli attenti che arriva qualcosa di inaspettato! I prezzi sono elevati, i venditori di antichità non mostrano il minimo interesse a noi europei, e continuano a mangiare e vedere filmine sul telefonino invece di provare a vendere.
Oggi e la fine del ramadan e il quartiere mussulmano pullula di attività e preparativi per la cena. Noi invece andiamo sotto indicazione della guida in una scaletta losca dove invece troviamo un locale molto fancy  tibetan fusion, con musica locale e hot pot tibetana.
Da domani ricomincia il viaggio e abbandoniamo il lusso.

Samstag, 24. Juni 2017

Lhasa

Fuori pioviccica e approfittiamo del tempo per preparare i vestiti e i bagagli per i prossimi giorni, nonché pianificare le tappe successive. La nostra guida è molto preparata per il Tibet, meno per lo Yunnan. Visto il numero di turisti cinesi , che scelgono lo Yunnan come il Tibet per viaggiare, dovremo fissare qualche alloggio.
Finita la pianificazione, incombenze necessarie come far benzina ( a Lhasa serve passaporto e patente per comprare il carburante, visto che negli ultimi anni più di 180 persone si sono date fuoco per protesta), lavare la macchina, portare i vestiti in lavanderia e poi al monastero Drepung. Visto che con la macchina si sale più in su dell'ingresso, diamo un passaggio a due pellegrine ( nomadi dice la guida, dalla puzza) di cui una di 87 anni. L'usanza vuole che dopo i 79 anni si indossi una specie di camicia/ gilet bianca con 3 simboli sulla schiena.
Siamo gli unici turisti, oggi e sabato e ci sono più pellegrini del solito. La storia del palazzo/ monastero e incrociata con la storia politica del Tibet, molto interessante, ma vi rinvio ai commenti di Domenico o ai libri di storia. 
Nella sala principale ci sono molti monaci che pregano e si può assistere, i pellegrini passano lungo le file dei monaci seduti, nella pausa merenda, e ad ognuno danno un banconota di pochissimo valore e alla fine del giro ricevono una sciarpa bianca. Molto suggestivo. Ci fermiamo di fronte a statue di tutti i tipi, ormai con le facce dei lama siamo ferratissimi. La foto dell'attuale Dalai Lama non si può mostrare e il suo altare viene lasciato vuoto.
Con una leggera pioggerella facciamo una sosta culinaria: spaghettini in brodo di yak e dumpling di yak. Ahimè non  c'è la toilette e l'esperienza dei bagni pubblici (presenti spessissimo) è pesante.
Il pomeriggio passiamo con la macchina attraversando la città moderna ad un altro monastero di Sera, famoso per stampare le scritture, ma soprattutto per la debatte tra i monaci. Sono tanti quasi 80 e divisi a coppie: uno seduto, che dovrebbe dare le risposte e uno in piedi che fa le domande, battendo le mani una volta per ottenere la risposta o  tre volte se non si considera 
soddisfatto. I saggi girano e controllano. Molto interessante. Nel monastero i bambini ricevono una specie di benedizione, con una macchietta nera sul naso. Sono tutti vestiti bene e fanno una lung fila per ricevere questo segno.
Riattraversiamo la città, sempre con traffico e guida pericolosa, lasciamo la macchina e la guida e andiamo nella città vecchia, pullulante di attività e di persone, con un dedalo di stradine. Si gira un angolo e si trova il quartiere mussulmano, tutti gli uomini con un cappellino bianco, le donne con un velo solo in testa, se ne gira un altro è si viene immersi nella folla che fa il giro del monastero, a piedi o a carponi. Ci sono molti controlli all'entrata della città vecchia e si vede polizia ovunque, ma la calca e veramente impressionante. Piccoli acquisti e poi una cena tibetana con vista.

Freitag, 23. Juni 2017

11 Tappa: Xigaze - Lhasa


Partenza tranquilla, a parte i cento turisti cinesi a fare colazione e nell'atrio, molti giovani, molti fumatori con mise improponibili. La strada attraversa la zona agricola di Xigaze, campi di colza e grano, serre di fragole e cocomeri, quando è stagione. Per strada ci sono "api" con contadini a bordo o bambini da accompagnare a scuola, gipponi, pullman tibetani, minibus di turisti. Tutto nuovo di pacca, tranne i passeggeri. La prima meta è il monastero di Gyantse Kumbum, che occupa tutta una collina a ridosso di una cittadina vecchia, in fase di ricostruzione. Sembra un po' dimessa, ci sono i soliti pellegrini. La guida ripete tutti. Nomi impossibili delle varie figure, Domenico corregge e fa domande, a me sembrano tutti differenti e non conta il colore, le mani, le facce per orientarmi. Chiedo il secolo per dare un contributo alla discussione. Di particolare qui ci sono le statue di fango e la stanza dei protettori, ma sempre all' interno del monastero si può salire su uno stupa a 5 piani, con cellette aperte verso l'esterno e una splendida vista sul monastero, i pellegrini seduti a fare picnic o nel giro di preghiera e sul castello che dominava la città. La tappa successiva ci porta ad un lago artificiale di colore cristallino, che non ci emoziona più di tanto. La strada risale e arriva ai ghiacciai, il paesaggio e molto bello. Nel frattempo le nuvole si scuriscono, le. Montagne sono innevate. Ulteriore passo, mini trattativa per comprare due oggetti inutili senza successo e poi io chiedo di fare una deviazione per visitare il monastero di Samding, l'unico diretto da una donna ( che sta a Lhasa). Siamo soli in mezzo a tanti monaci giovani che preparano danze, più anziani che fanno il mandala di sabbia, e quelli che cuciono gli ornamenti. La vista è su un lago sacro Yamdrok tso, che costeggiamo a lungo per dirigerci verso Lhasa. Ai parcheggi con punti di vista oltre alle solite bancarelle, grossi cani di tipo mastino tibetano vengono messi in mostra per farsi la fotografia, in un altro cammelli. La strada risale e riscende con molti tornanti, attraversiamo un affluente del bramaputra e arriviamo a Lhasa con l'autostrada. La città e modernissima, piena di grattacieli in costruzione e striscioni di propaganda. Noi smontiamo i nostri bagagli, polverosi e numerosi allo Shangri-La dove dormiremo nel lusso per i prossimi giorni. La cena ha messo ha dura prova i nostri vestiti e la nostra abilità con le bacchette, avendo scelto un ristorante con fonduta cinese/tibetana ( olio/ brodo) in cui infilare spiedini scelti da noi, di non chiara provenienza e molto scivolosi.

Donnerstag, 22. Juni 2017

Xigaze

Xigaze
Oggi comicia lentamente, dopo una colazione cinese, ricca ma alquanto sconosciuta...
Con un taxi scatenato arriviamo al Monastero di Xigaze, sede non usata attualmente dal Panchen Lama (11 e a Pechino e no qui)..
Siamo i soli turisti, e l'area piena di edifici e piena di tibetani nomadi o cittadini, in costumi tradizionali e non, che seguono in senso orario il percorso tra i vari edifici, prayer wheels, stupa, con barattoli di cera. Sono sorridenti, si lasciano fotografare e ci fotografano. Tutti hanno il telefonino, anche signore anziane quasi più di la che qua.
Per i monaci Apple è un grande sponsor, perché ha impostato il tibetano come lingua...
Visitiamo gli edifici, con il piu grande Budda interno, la tomba del decimo Panchen lama, la tomba del quarto Panchen lama e quella del nono e di quelli precedenti. Tutti sono di legno massiccio, con un'iconografia indiana, molto colorata. Durante la rivoluzione culturale hanno salvato molte delle scritture e statue più piccole, ma ci sono stati danni notevoli, ora invece lo stanno rimettendo tutto a posto e ci sono gruppi di cinesi che arrivano come turisti.
La parte religiosa è difficile da capire, secondo la guida tutti i pellegrini vengono e seguono il cammino e fanno offerte di burro, cera, orzo caramelle e soldini senza in realtà capire nulla ( nonostante le sue spiegazioni io stessa di fronte alla vastità dei budda, lama, protettori non sono  più ferrata).
I monaci collezionano le offerte, i vecchi seduti in angoli fanno una specie di benedizione, distribuendo palline di orzo e formaggio secco con acqua benedetta. L'odore di burro e cera, nonche quello dei pellegrini rimane nel naso. Facciamo una visita accurata e molto soddisfacente, uscendo mangiamo in una tea house tipica, tra pellegrini, monaci e famigliole i nostri momo e dumpling. Ci separiamo dalla guida e ci diamo allo shopping frenetico di Domenico, oggetti di varia natura e uso, con contrattazioni spietate. Ahime il contenuto degli acquisti lo sapranno solo forse i figli e gli amici zurighesi, prima che vengano messi in cantina o distribuiti nelle varie case ( anticipazione: 2 pecore di bronzo, accessori per cinture..). La citta vecchia ha un mercatino locale di collanine e perline, misto a stand di pecore secche.
Da li risaliamo alla fortezza Dzongh, impressionante con pareti alte e bianche, attraversando vecchie casette, in parte ricostruite. Da li c'è una vista sulla piana, con città vecchia e nuova.
Prendiamo una specie di Ape elettrica come taxi, l'uomo nonostante la scritta in cinese e tibetano e la mappa non ci vuole portare in albergo, ma saliamo e domenico con mapsme gli da le spiegazioni e lui tutto contento ci porta in albergo. Dopo un'ora di contatti via email e telefonici con i familiari, ritorniamo al monastero, per fare la khora, cioè il giro esterno dei pellegrini, sul sentiero pieno di prayer wheels e panchine per i pellegrini. I piu estremi, giovani o vecchi lo fanno prostrandosi a terra ogni 3 passi e di sicuro e piu lungo di un chilometro.
Rientriamo nel monastero sotto tuoni e fulmini, non ci sono piu i pellegrini ma gruppi cinesi, ma l'atmosfera rimane magica. Cena nepalese con bistecca di yak ( scelta da me, molto occidentale e criticata da domenico alle prese con una masala di agnello piccantissimo), acquisti sportivi e poi a nanna.

10 Tappa Base Camp Everest - Xigaze


Alle 7 di mattina sorge il sole sull'Everest e noi finiamo di vestirci velocemente per fare fotografie. Siamo molto fortunati, il cielo  azzurro e si colora pian piano. Dopo la prima colazione con pancakes, decidiamo di risalire al campo base, questa volta con pulmino. È veramente spettacolare, freddo e ventoso. Ci rimettiamo in macchina verso le 10, questa volta faccio io i tornanti, dando la possibilità a Domenico che dorme meno bene di me di riposarsi. Una volta arrivati alla Friendship Highway ( Shanghai - Katmandu), ormai abituati alla qualità delle strade, facciamo una deviazione per una fortezza e monastero. In realtà la fortezza e su uno sperone di roccia e non si visita e il monastero e troppo lontano. Fa caldo e attraversiamo il paesino vecchio, pieno di negozi locali e tibetani piu che cinesi. Per arrivare al paesino attraversiamo una "ghost town", una serie di palazzine, piazze, monumenti semafori costruite dai cinesi per attirare i nomadi e i contadini, ma sovradimensionate. Ci fermiamo anche per mangiare momo fritti, la guida ci racconta meraviglie dell'albergo e della città che ci aspetta. La strada porta verso un passo a 5200 metri, purtroppo è piena di buche e di lavori in corso per ripararle e quindi facciamo soste forzate. Comincia a piovere e a grandinare, ma noi siamo cosi contenti dell'Everest che non possiamo dispiacerci alla mancata vista dell' intera catena. Abbiamo un momento di incertezza se fare una deviazione di 25 km per vedere il monastero di Sakay, ma proviamo e riusciamo ad entrare all'ultimo momento. È il primo monastero grande, sede dell'imperatore di Sakay, tutto grigio e con righe verticali rosse e bianche. Anche questo ha avuto danni gravi dalla rivoluzione culturale ed è stato ricostruito, compreso la città nuova nello stesso colore. È una fortezza con dentro molti monaci e arrivano anche le suore per sentire le lezioni. Parte delle statue è in ricostruzione fa impressione vedere mani e parti delle statue giacere per terra. Mi rimetto al volante e arriva di nuovo un nubifragio, con la sera si vede non bene, anche perché l'uso dei fanali non e noto e c'è un notevole traffico. Arrivo stremata alla città, in questo caso veramente la seconda città del Tibet con circa mezzo milione di abitanti e arriviamo polverosi e puzzolenti in un albergo a 5 stelle, nuovissimo con un personale che non spiccica una parola di inglese.Ci fiondiamo in stanza, ma sono le 10 di sera, quindi la guida ci porta in un ristorante tipico di Lanzhou, ordina noodles piccanti e non, spiedini e ci abbandona.
Il lusso dell'albergo dopo la sera prima ci coccola, riprendiamo il contatto con internet ( la guida mi prende in giro perché in ogni locale anche sgrencio gli chiedo il wifi).                  

Mittwoch, 21. Juni 2017

Riflessioni politiche, geografiche e religiose di Domenico


Questa sera siamo al campo base dell’Everest, nell’ostello del monastero di Rongphu, a oltre 5000m di quota, abbiamo appena visto uno spettacolare tramonto sulla parete nord dell’Everest, ed è tempo di scrivere alcune riflessioni sulla prima parte del nostro viaggio. C’è veramente tanto da ricordare.

Quest’anno continuiamo il viaggio ripartendo da Almaty in Kazakhstan, dove la fedele macchina ha trascorso l’inverno. Il piano è di finire la traversata dell’Asia centrale e seguire la via della seta fino a Kashgar nel Xinjiang, attraversare il Tibet lungo le catene del Karakoram e Himalaya, attraversare lo Yunnan verso Sud lungo la via del te, e finire in Laos, in Indocina. Il senso del viaggio è quello di una traversata, seguendo la storia, le lingue e le religioni dei popoli che abitano questa immensa area dell’Asia, attraverso i confini naturali e amministrativi, e naturalmente di attraversare alcune tra le zone più affascinanti del pianeta.

Il volo di andata passa per Istanbul. L’aeroporto di Istanbul serve tutta l’Asia Centrale ed è un vero microcosmo, si vedono gruppi di donne turkmene con i costumi fiorati e i grandi turbanti, uomini uzbeki con la barbetta bianca e il cappellino ricamato, kazakhi dalla faccia larga e grandi sorrisi, e naturalmente grandi gruppi di cinesi.  Basta guardarsi in giro per percorrere l’intera via della seta.

L’utilizzo delle mazzette per incrementare i magri salari è comune in tanti paesi, ma in Kirghizistan ha raggiunto livelli folcloristici. Sto parlando delle mazzette da dieci dollari, che uno paga per evitare problemi ma che quando diventano troppe o troppo grosse possono dare sui nervi. Alcuni esempi. Il militare alla frontiera di ingresso, che con cinque parole di inglese mi spiega che lui è un “collector”, un collezionista; io ingenuo chiedo e mi dice che colleziona banconote americane, e gli manca quella da 10$; ringraziando la sorte che non gli manca quella da 100, sorrido e pago. I vigili di Bishkek (la capitale), che quando ci vedono con la macchina straniera da lontano mettono su un enorme sorriso e si piazzano in mezzo alla strada per fermarci, poi mi fanno sedere nella loro macchina e mi fanno vedere sul codice tutti i cartelli e divieti che non avrei rispettato (con una fantasia notevole) e nel frattempo aprono il cassetto del cruscotto, dove si vedono varie banconote; aggiungo la mia e riparto; questo tre volte in un giorno. I doganieri alla frontiera di uscita, che ci spiegano in russo e tre parole di inglese che “car big problem”; dopo varie iterazioni si arriva al capo dogana, che ha in mano l’intero traffico tra Cina e Kirghizistan (fila di 3 km di TIR alla dogana quando siamo passati noi); ci ripete “big problem” ma poi anche “friend help friend”; questo “help” viene quantificato dal suo aiutante in 150$, pagati sull’unghia in un angolo buio della dogana, e tutti i timbri e documenti riappaiono come d’incanto, i camion vengono fatti spostare e ripartiamo tra due ali di doganieri, in pompa magna; tutti amici qui.

Il Xinjiang è una provincia cinese, abitata da Uiguri e Kirghizi, che parlano turco, usano l’alfabeto arabo, sono musulmani, mangiano e si vestono come in Asia centrale. Anche il Tibet è una provincia cinese, ma sono tibetani, buddisti, parlano e scrivono tibetano e hanno ancora oggi usi e costumi tipici di un regno rimasto isolato nel tempo. È abbastanza evidente che Xinjiang e Tibet potrebbero essere stati indipendenti. Si può discutere a lungo ed essere solidali con gli abitanti del Xinjiang e del Tibet, ma le ragioni della geo-politica parlano chiaro. La Cina da sempre ha cercato di estendere il suo impero fino a trovare delle naturali barriere geografiche, insuperabili dai possibili nemici, e queste sono le catene dell’Himalaya e Karakoram a Sud, e Tien Shan a Ovest. In più, dal Tibet scendono i principali fiumi che hanno dato ricchezza alla Cina nella sua storia (fiume giallo e Yangtze) e la Cina vuole controllare le sue risorse idriche; il Xinjiang è il fulcro dell’Asia centrale e confina con 8 stati chiave (India, Pakistan, Afganistan, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakhstan, Russia e Mongolia ) e ha anche le maggiori riserve di idrocarburi del paese. Con il caos che ha seguito la seconda guerra mondiale, la Cina ha completato la sua espansione e i movimenti separatisti e le pressioni internazionali non hanno molte speranze nella situazione attuale.

Lo sforzo che la Cina sta facendo per “cinesizzare” Tibet e Xinjiang è impressionante, su tanti fronti: la costruzione di infrastrutture, strade, scuole, ospedali; elettricità e acqua in ogni casa; la migrazione di cinesi Han, non forzata ma “incoraggiata” con sovvenzioni, posti di lavoro e posizioni privilegiate; la costruzione di case e quartieri, quasi intere città, con lo scopo di sradicare il nomadismo e trasferire le popolazioni dei piccoli villaggi verso città più grandi; un vero e proprio stato di polizia, con posti di blocco, richiesta di documenti, telecamere installate ovunque, caserme di polizia gigantesche in ogni villaggio, per controllare movimenti separatisti (che qui bollano come terroristi); grandi investimenti strategici per il turismo (prevalentemente cinese) in Tibet e per la nuova via della seta in Xinjiang (autostrade, ferrovie veloci, pipelines). Già oggi, ci sono più cinesi Han in Tibet che tibetani, e lo stesso è per il Xinjiang.

Sulle strade del Tibet si incontrano soprattutto moto, trattori a tre ruote, e grandi SUV (che noi chiamavamo gipponi). I gipponi sono prodotti da un numero quasi incredibile di marche, ma fondamentalmente ricadono in quattro categorie: modelli importati (tipo il classico Toyota Land Cruiser), modelli co-prodotti in Cina da ditte straniere (ancora il classico Land Cruiser coprodotto da Toyota e da una ditta cinese; gli autisti cinesi dicono che le macchine co-prodotte in Cina costano meno ma valgono ancora meno), modelli stranieri copiati in Cina da ditte cinesi (come il Land Wind, copia fedele del Land Rover), e infine i gipponi disegnati e fabbricati da ditte cinesi (tipo Haval). Questi ultimi sarebbero ottimi, se solo non ci fosse il fenomeno sociale di copiare i modelli occidentali e giapponesi.

Abbiamo visitato le rovine dell’impero di Goche, che occupava il Tibet Meridionale, scomparso oltre mille anni fa. Storie di tre fratelli in guerra tra loro. Il re di Goche vuole lasciare il buddismo, il fratello che è il leader buddista chiede aiuto all’altro fratello, a sua volta re del Ladack (la provincia indiana confinante, detto il piccolo Tibet), questo arriva e spazza via tutto, uccidendo entrambi i fratelli e prendendo il controllo del Tibet. Insomma, sembra di  leggere le stesse storie che hanno costruito l’Europa. Sulle rovine di Goche sono poi stati costruiti monasteri buddisti, spazzati via dalla rivoluzione culturale di Mao. 

Il monte Kailash è al centro di una catena parallela all’Himalaya, all’interno del Tibet. Alto 6’700m, domina l’orizzonte da tutte le direzioni e ha tutto per essere una montagna sacra. Dal Kailash partono quattro fiumi nelle quattro direzioni, tra cui il Brahmaputra verso Est, l’Indo a nord-ovest e il Sutlej, il più lungo degli affluenti del Gange, verso sud-ovest. Il Gange e il Brahmaputra – i fiumi sacri della religione induista – partono dallo stesso punto del Tibet in direzioni opposte, uno drena l’intera catena Himalayana a Nord e l’altro a Sud, e si rincontrano dopo migliaia di chilometri alla foce, nel Sunderbonds del Bangla Desh, dove Salgari ha ambientato alcuni suoi libri.
Il Kailash ha base quadrata con pareti vertiginose, e su una delle facciate la neve e gli strati rocciosi formano una gigantesca svastica molto evidente (la svastica è un simbolo sacro per gli Hindu). Tutte le grandi religioni asiatiche hanno il mito della grande montagna, da cui scorrono quattro grandi fiumi che danno la vita all’intera regione e questa montagna è identificata con il Kailash, che è sacro per le principali religioni asiatiche e meta di imponenti pellegrinaggi. Per capirci, il Kailash è il dominio di Shiva e sua moglie Parvati per gli Hindu, e il lago Manasovar, a poca distanza, è sacro per Brahma; nel lago ha fatto il bagno la madre prima di dare nascita a Buddha e li sono state versate parte delle ceneri di Gandhi. Insomma, più sacri di così non si può. Arrivano migliaia di pellegrini dall’India, dopo un viaggio lungo e faticoso attraverso l’Himalaya, fanno il bagno nel lago e la chora (il giro in senso orario) attorno al Kailash, tre giorni di trekking con neve e condizioni di alta quota. Si rimane sbalorditi a vedere intere famiglie indiane, inclusi i nonni, partire pregando per questo pellegrinaggio. I più vecchi e deboli non sempre ce la fanno, e vengono riportati giù a dorso di yak e cremati sul posto – per loro una morte sacra. La religione qui da ancora identità a interi popoli.


Om mani pande hum è il mantra più usato nelle cerimonie buddiste. Om significa "il suono che era all’origine dell’universo”; nella fede buddista l’universo ha avuto origine con un suono forte e basso – quello “hum” che si sente sempre entrando nei monasteri buddisti. L’origine dell’universo – e a seguire l’origine della vita e l’origine dell’uomo – è una delle domande su cui da sempre la scienza lavora più attivamente, tra bigbang, onde gravitazionali, relatività generale e unificazione delle forze. Ma ogni religione fin dall’inizio si è posta la stessa domanda e ha dato una sua interpretazione di cosa c’era all'inizio. Nella Genesi è la luce la creazione del primo giorno. L’idea che all’inizio ci fosse solo un grande suono o una gran luce, è una rappresentazione affascinante e molto attuale.

9 Tappa - Saga -Base Camp Everest

9 Tappa - Saga -Base Camp Everest
La giornata inizia con un tratto di strada non asfaltato, ma ottimo, che attraversa il Bramaputra e si arrampica sulle montagne colorate, tra greggi di pecore, yak e asini selvatici. Nei tratti piu verdi, paludosi qualche uccellino e le anatre. Sulle pareti rocciose, cespuglietti di fiori rosa. La strada dopo un passo a soli 4900 metri, dove a stento facciamo una sosta e dopo molti tornanti arriva su un altopiano. A sud si apre la catena dell'Himalaya, con il primo ottomila interamente in Tibet(Shisha Pangma 8013) e un lago di un blu cristallino. Qui si incontrano i primi turisti, principalmente cinesi, ma anche qualche gruppo europeo. Fermarsi a fare le foto è molto divertente, finiamo in mille foto.
Il vento è molto forte e le nuvole corrono velocemente e si passa dalla pioggia alla neve ad un sole caldo. La strada non asfaltata finisce sulla friendship highway, costruita in Tibet, e collega il Nepal con la Cina. La strada e ottima un po piu trafficata. Ora non è possibile per i turisti usare questo confine, principalmente per i danni del terremoto. 
La valle e piena di fortezze usate nel periodo di dominanza nepalese e ora in distruzione. Ci fermiamo a fare delle foto in un villaggino piccolissimo vecchio stile, con donne vestite ancora in modo tradizionale. 
Sulla valle si vede la massiccia fase di costruzione in corso. Il governo sta costruendo villaggi e città lungo la strada principalmente per ospitare i nomadi tibetani, ma in realtà la quantità di case è superiore a quella dei nomadi.
Le case sono a due piani, come le vecchie case, costruite per avere gli animali al piano terreno, le stanze sopra e sul tetto pietre e cacca di yak per isolare dalla neve. Ora invece sono di mattoni e devono avere la bandiera cinese. Ci fermiamo in una cittadina in pieno sviluppo, mangiamo i primi momo e ripartiamo per la meta finale odierna: base camp dell'Everest. La strada è stata costruita due anni fa, non era ancora descritta sulla guida ed e incredibile, piena di tornanti in salita, con un passo a piu di 5000, questo con fotografia (5198) e in discesa. Si riscende verso 4000, ormai non ci facciamo caso. Tra le nuvole escono le montagne e le cime, compriamo il biglietto costoso, ma che vale la pena. Abbiamo scelto di dormire in una guesthouse spartana, con vista sull'everest, stasera niente doccia e forse niente pipi...
L'Everest si intravede, per cui decidiamo di salire un po. L'organizzazione e incredibile, dopo 3 km in macchina si arriva al base camp dei turisti: 50 tende che aspettano i turisti, da li partono pulmini che per 4 km portano al belvedere. Noi come i pochi europei non passiamo permetterci questa cinesata, saliamo a piedi prima sulla strada polverosa per via dei pulmini ad alta velocità, poi su un sentierino. C'è un sole caldo, ma un vento fortissimo, siamo ben coperti, ma a più di 5000 metri e ogni passo e chiacchiera costa fatica. Io mi chiedo il perché, Domenico non discute proprio. 
Quando arriviamo la  collinetta e piena di turisti, vestiti in tutti i modi. Dell'Everest si vede solo la cima, aspettiamo un po,ma io convinco Domenico a malincuore a prendere il pulmino. Tornati nel nostro alberghino prendiamo una tazza di te con vista sull'Everest, che si apre, diventa rosa e poi si illumina con le ultime luci.

Manteniamo la nostra posizione per la cena, chiacchierando con gli altri turisti. 

Montag, 19. Juni 2017

8 Tappa: Kalyash- Saga


Stanotte abbiamo scoperto la coperta elettrica, parte del letto caldo, parte più fresco. Alle 8, L'albergo sembra svuotato da tutti i pellegrini indiani, la colazione offre in aggiunta il butter the, imbevibile, almeno a colazione. Fuori e nuvoloso e con qualche leggera pioggerellina, siamo contenti di aver visto il monte ieri. Prendiamo una delle strade che porta in Nepal e che costeggia due bei laghi. La guida sparagnina ci fa fare una strada sterrata per arrivare al piccolo monastero di chui, dove siamo gli unici turisti. Da qui si gode una bellissima vista sul monte kalyasch che emerge dalle nuvole e sui due laghi. Arrivano due gruppi locali di pellegrini, che fanno velocemente la kora, giro in senso orario del monastero. Le donne usano orecchini di turchese e corallo, un vestito con una specie di grembiule colorato se sono sposate, le signore anziane hanno una pelle cotta dal sole e solcate da rughe. Gli uomini sopra una vestito normale, portano una specie di piumino cinese.
 Rassegnati a non vedere in pieno le cime, partiamo per la nostra lunga guidata odierna 550 km, il tempo cambia velocemente, si apre, si chiude, cambiano i colori e le prospettive. Si intravede l'Annapurna che svetta potente sopra un massiccio innevato. Seguiamo le acque cristalline del Bramaputra, prima largo sulla piana e poi comincia la sua lenta discesa. Due passi, che ormai non ci scuotono più di tanto, vari check point, e chilometri di strada lunga e dritta. Ai checkpoint riconosciamo i vari gruppi, finora nessun occidentale. Le pianure sono secche, in lontananza si vedono gli asini selvatici, greggi di capre e pecore e yak e tzo( incrocio maschile tra yak e mucca). Ogni circa 50 km sono in costruzione villaggi, stile tibetano ( che noi non abbiamo ancora visto in realtà) con bandiere cinese, pensate per i nomadi. Sulla strada si aprono ristorantini e verso al fine del villaggio i meccanici. È chiaro il colonialismo cinese. 
Ci fermiamo per una sosta in un ristorante islamico, scelto dalla guida sempre molto attento all'igiene. In tutti i posti si trova internet e wifi.
La strada attraversa ora delle grosse dune di sabbia, il paesaggio è veramente grandioso e cambia in continuazione anche per via della luce. 
È talmente maestoso che il mio ipad o iphone non riescono a rendere le viste. Arriviamo belli cotti, ma tranquilli in questa cittadina, (2 strade invece di una), dove l'albergo brand new non prende i turisti stranieri, mentre incontriamo i primi turisti nel nostro albergo piu vecchio. 
Stasera cena tibetana, curry tibetano di yak e riso e yak.
Stiamo andando molto veloci, tagliando le tappe. La povera guida prova a dirci di fare una pausa per pranzo o la sera, ma si adatta velocemente ai nostri cambiamenti: domani base camp dell'everest.
In macchina parliamo con lui,sentiamo la musica, organizzata quest'anno in maniera professionale e chiacchieriamo, controllando circa ogni due ore la repubblica e chattando con Giulia la mattina presto. 

Il sole batte forte e sulla macchina nera ha un effetto termosifone, ma le temperature esterne sono tra i 5 e i 10 gradi.

Sonntag, 18. Juni 2017

7 Tappa - Zarda - Mount Kalyash

Stanotte  dopo un Olfen ho dormito meglio, mentre Domenico è stato piu sveglio, la sveglia non ha funzionato, perche settata non sul tempo di Pechino. La colazione cinese di questo albergo nuovissimo era abbastanza deludente. Acqua calda e niente the, uova e molte verdure che bisognava combinare, un self service non riuscito. Visitiamo il monastero, in fase di ricostruzione con ancora le tracce visibili della distruzione della rivoluzione culturale. Sulle pareti i murales coloratissimi che hanno immagini di Budda e delle storie fantastiche. Fuori un gruppo di pellegrini tibetani preparano con una specia di farina delle offerte. Rifacciamo la strada di ieri, il tempo è meno bello, guido io senza problemi. Ripassiamo il passo a 5000 senza nemmeno fermarci per fare una fotografia. Riprendiamo la strada e si riaprono le montagne innevate, con nuvole minacciose. Arriviamo sotto una leggera pioggerellina all'albergo pieno di pellegrini che arrivano via Nepal in pullmann per fare un pellegrinaggio di 3 giorni. Vecchi, giovani, piumini e attrezzature di tutti i tipi, sembra di essere in un altro mondo. l'albergo come al solito non risponde alle 4-5 stelle, ma va bene. Ci prendiamo in un ristorantino locale il the salato e noodle con zuppa di yak, e confidenti aspettiamo che si apra il cielo. Cosi e e risaliamo con la macchina per 7 km alla base del pellegrinaggio. La montagnd sacra ad induisti e a tutti i buddisti ( no sapevo che ne esistevano molti tipi) e alta 6600 metrie e da qui partono gli affluenti dell'Indo, Bramaputra, Gange e ...siccome e sacra e ha una forma quadrata a stupa e una facciata con la foram di svastica non hanno mai dato il permesso di scalarla. Noi invece saliamo al monastero difronte e la vista si apre. Prima prova di camminata in vista del base camp dell' Everest. Fa freddo ma noi siamo attrezzati, anche rispetto ai pellegrini locali. Dopo il the e la visita al monstaero ci accorgiamo che il temporale si avvicina, domenico corre come un pazzo a tentare di avvicinare la macchina, ma io bella bagnata e scortata dalla guida cammino a 4500 metri come se niente fosse. Dopo una doccia calda e l'allagamento del bagno, scegliamo un ristorante tibetano con menu inglese e ordiniamo lo yak in tutte le salse.
Ottimo umore, salute e un viaggio entusiasmante.

6 Tappa Rutok Zarda



La notte con extra coperte è andata bene, la mattina alle 7.30 ancora buio siamo partiti con un hotel chiuso. Qui usano l'orario di Pechino solo sulla carta, comincia tutto verso le 10 e finisce alle 22 con la notte. Il tempo e perturbato, qualche scroscio di neve, ma la strada corre su questo altipiano (4000-5000 metri) molto liscia, senza tornanti pazzeschi. Risaliamo uno degli affluenti dell' Indo, ai lati della valle le montagne dell'himalaya. Qualche gregge di pecore e capre cashmere, yak, e asini selvatici. Nessun traffico a parte due tre gipponi di turisti cinesi. I permessi vanno fatti a Ali, una cittadina moderna dove l'ufficio di polizia viene aperto per noi, visto che e sabato ed e appena stato costruito. Visita al mercato locale, ricco di verdura, carne e pesce. Ci prendiamo un the ( per noi non salato) e una tazza di noodle nel brodo di yak e poi ci rimettiamo in marcia. La lonely planet del 2014 dice che arrivare alla nostra meta e dura, ma che ne vale la pena, la nostra guida che non e esperta sull'uso del navigatore cinese, ci dice che va tutto bene. E cosi e, una strada favolosa, che dopo essere risalita fino a 5000 metri, piano piano scende e ci porta in una valle stratificata, tipo gran canyon, veramente affascinante. Da visitare c'è la fortezza e il monastero, noi visto il sole e l'aria tersa decidiamo per il primo che si trova ancora a 20 km di distanza. La fortezza si rivela una citta su uno sperone di roccia di un re tibetano di circa 1000 anni fa, conquistata dal re del ladak. Per arrivare al palazzo reale in cima, si fa un po fatica, i passi pesano. Alla base dopo la caduta del re sono rimasti dei monasteri, in particolare ne abbiamo visitato due, che conservano nonostante la distruzione di budda da parte dei cinesi nella rivoluzione culturale degli affreschi della vita di Budda, a colori molti vivaci e indianeggianti. Solo chi e stato come noi in Ladak riconosce lo stesso stile. 
L'albergo non ancora finito ma gia vecchio, e pieno di turisti cinesi, vestiti in modo improbabile, con grandi macchine fotografiche e rumorosi. Il nostro uomo ci porta invece a mangiare in uno dei ristorantini locali, ordina per noi in cibo, abbondante e variato. Oggi prima birra Lhasa che non vale..

6 Tappa: dal mezzo di nulla a Rutok



Dopo una notte insonne, i camion si accendono presto, tutti sono sveglia alle 7 ma il check point apre solo alla 8.30. Ci intratteniamo a gesti con le ristoratrici e gli avventori che fanno colazioni principesche ma poi siamo trai i primi ad avere il via libera. La strada sale lungo una valle larga, circondata da tutte e due i lati da montagne innevate. Il tempo è ventoso e piu chiaro, si vedono le cime del karakorum e del.... i colori sono piu vivaci, l'atmosfera e tersa e fresca. La strada e cosi dritta che mi metto alla guida anche io, ma dopo poco mi viene un gran sonno e anche se malvolentieri faccio un riposino. La macchina gia sporca, e piena di biscotti kirghisi, mandorle, frutte secche, tortine di noci e uvette e miele, che si spalmano sui vestiti e sui sedili, domenico prova a sgridarmi...
La guida ci racconta delle vicende politiche degli ultimi anni e della presenza di check point, in realtà sono fatti che da noi non hanno avuto una grande attenzione. La polizia e armatissima, ma in realta non ci sono che pochi turisti cinesi oltre ai camionisti. Si vedono anche ciclisti, salire verso i 4-5000 come niente fosse. Sembra incredibile che da 4500 si continui a salire ma lentamente, senza troppi tornanti. Il cielo in Tibet e piu chiaro come promesso dalla guida, si aprono laghi di sale e di acqua, pochissima vegetazione secca. Passato il confine vediamo le cicogne, le antilopi tibetane, gli yak, anatre pechinesi. Non c'e ragione di fermarsi e a parte un the che ci viene offerto dal localino, procediamo la strada ( oggi solo 590 km) per arrivare in un paese nuovo, costruito dai cinesi per colonizzare il tibet. Il paese offre poco e niente. L'albergo a 4 stelle e gia decrepito, ma non ci sono alternative. Cena cinese, ricca e saporita e ora ho finito di scrivere la tappa odierna. In sintesi finora, bellissimi panorami, quote elevate, strade ottime,  controlli ok, cibo ricco, km come al solito e macchina ok. 

Maddalena Velonà
From ipad ( sorry for typos and short answers :-) )

5 tappa

3 Tappa: Kashgar - in the middle of nowhere, nelle montagne del Karakorum

Dopo un ultimo giro di acquisti, alimentari e souvenirs ed un ottima cena in un ristorante kitsch, salutiamo il nostro uomo, ci godiamo i lussi de radisson, che non vedremo piu e mettiamo la sveglia alle 6. La partenza e nel buio piu totale ( ora di pechino) e la strada veloce, ma con alcuni check point dove solati giovani e armatissimi non sanno come trattarci. La guida scende comincia a discutere animatamente, ci fa scendere continua la discussione e poi via che si va. L'autostrada la faccio io, attraversa un deserto roccioso e sabbioso, l'aria e polverosa e gialla, accanto si vedono le costruzioni di nuovi impianti industriali, ferrovia e macchine cinesi nuove. La prima tappa e nella cittadina dove devono darci i permessi, ma dove non fanno dormire gli stranieri. Arriviamo in un ufficio che apre in quell'istante con 4 persone, vestite in maniera casuale, alcuni in divisa altri casual. Una signora in divisa pulisce il pavimento e le sedie dove siamo accomodate, risulta poi essere la responsabile dei nostri permessi.qui tutto e blindato, in particolare l'entrata alla pompa di benzina, con check point e controllo documenti dell'autista, mentre i passeggeri aspettano fuori. La strada sempre buona attraversa l'oasi verde, con tanti alberi da frutta e poi comincia la salita. E previsto l'attraversamento di un passo a 4900, con sosta in un villaggino sulla strada. La strada è ottima, poco traffico di macchine e molti camion. Sale lungo queste montagne sabbiose marroni, con larghi fiumi, e in lontananza cime a 6000 innevate. La geografia e impressionante come le protezioni per la strada, destinate a non durare.
Infatti veniamo fermati per lavori in corso, e aspettiamo circa un'oretta ciascuno.
Comincia a nevischiare e a fare freddo, la foto al passo a 4990 viene fatta in una tormenta. Si sente la quota, la pancia sembra un pallone he vuole scoppiare, domenico ha un po di mal di testa. In lontananza si vedono le montagne, l'ingresso alle valli e tutta la strada e recintata con filo spinato. Dappertutto gruppi di polizia o esercito, con moto luccicanti o a cammello o con cani a passeggio. Ci fermiamo a 3800 metri davanti a due baracchine, sporche e isolate, la nostra guida va a vedere per la sistemazione notturna molto basic. Effettivamente lo e ...io sarei disposta a fermarmi, ma i cinesi in macchina dicono assolutamente di no che a 120 km di distanza e con buona strada troviamo di meglio. Sono le 18.30 ora di Kashgar  , qui di abbiamo ancora  2-3 ore di sole e decidiamo di proseguire. Stavamo andando bene ma su una delle salite al passo di piu di 4900 metri, stanno sistemando una frana. Stop con Nevischio e quasi buio. 
Sudoku, candy Crush, un po di chiacchiere con la guida. Quando si riparte c'e ancora luce, non ci fermiamo al passo nemmeno per fare la foto, per arrivare alla meta sognata, un grande benzinaio una dogana seria e un caseggiato dove ci danno un'ultima stanza costosissima con 2 letti bagnetti. Sembra un miracolo e non discuto sul prezzo esagerato e sulla puzza di fumo. Facciamo la cena con i pochi turisti locali, scelta dal nostro uomo e ci mettiamo a letto. Io penso di non aver dormito, mentre Domenico russa.

Maddalena Velonà
From ipad ( sorry for typos and short answers :-) )

Dienstag, 13. Juni 2017

Quarta Tappa: Kashgar

La guida ci incoraggia a dormire perche la vita della citta comincia solo dopo le 10.30 (tempo di pechino) e quindi dopo una lautissima colazione ci muoviamo per l'acquisto di una scheda telefonica e di un telefono. Come resistere difronte al suo entusiasmo di fronte ad Oppo ((apple 7) cinese? Prendiamo in10 minuti una scheda Sim, molte foto di passaporto, ma molto ben organizzato e facile...whatsup non e disponibile ma lo e we chat.... finalmente finite le pratiche burocratiche di oggi, partiamo alla scoperta della città vecchia, ricostruita in tempi recenti sul vecchio stile. Le strade sono chiuse alle macchine ma non ai motorini, molti r tutti elettrici, silenziosi e dotati di seggiolini pe bambini, a bordo piu di una persona con caschi eterogenei. La città è polverosa, ma non inquinata, a pochi km si vede una centrale nucleare. Al di fuori della città vecchia stanno costruendo come dei matti. La popolazione è mussulmana, ora infase di ramadam, si vedono signore con vestiti colorati e con tracce di oro sui fazzoletti, accanto a ragazze cinesi in short. Parlano una lingua araba, tipo turco ma usano la doppia lingua anche a scuola uiguro ( arabo) e cinese. Ci tengono ad essere distinti dai cinesi, ma non sono critici, almeno la guida che però  e molto attenta. La città e sicurissima dice lui, noi camminiamo tranquilli, provando tutte le specialità da strada, compreso lo yogurt a grattachecca shakerato a mano. Dopo aver rinunciato all'acquisto di teiere di rame e di collane di giada bianca, ci fermiamo a comprare tappeti, per la nostra collezione della via della seta. Come resistere ad un tappeto con melograne e per facilitare la contrattazione un tappeto grand afgano? I cinesi vengono pagati di piu, per cui e più redditizio comprarli li e venderli in Cina...il prezzo rimane alto e li lasciamo, ma dopo poco veniamo richiamati al telefono e ci accordiamo per un buon prezzo, dice lui prima di aver saputo che la consegna e al radisson..visitiamo la moschea unico monumento storico di una certa rilevanza e segno dell' importanza storica e religiosa di questa città sulla via della seta. Molta polizia e check delle borse, ma tutti sorridenti e al telefono..prendiamo un gelato alle noci e uno allo zafferano, qui c' è molta frutta secca e fresca, un dolce di pasta frolla e noci, continuiamo nelle stradine dei vecchi artigiani, trasformati in parte in negozi di souvenir per cinesi, visto che incontriamo un solo gruppetto di americani. Alle 4 torniamo in albergo e mentre domenico va a riprendere la macchina io rimango in albergo e dopo 20 vasche in piscina mi metto a scrivere il blog e a capire il mio Oppo...

L'organizzazione cinese di Domenico e stata grandiosa, siamo qui e non ci posso ancora credere. Domani prendiamo le patenti cinesi e se facciamo in tempo ci muoviamo con un'altra guida. Io ero stata in Cina 24 anni fa e mi ricordavo biciclette a non finire, qui si ha l'impressione di essere come a Singapore piu polverosa....

Terza Tappa: Naryn - Kashgar

Alle 6 di mattina ci svegliamo con una giornata tersa e ventosa, prendiamo un te nel nostro appartamento russo e ci mettiamo in macchina. La strada e ottima, passiamo un primo range di montagne innevate, con prati verdi, cavalli, mucche, yak e pecore. In lontananza uomini a cavallo, nessuno in giro. al primo check point ci raggiungono tre camion, e passiamo insieme il secondo passo. Tra le montagne si apre un lago azzurro, dove si specchiano le montagne. Siamo a circa 3200 metri. Lungo la strada si incolonnano  per due -   tre km TIR cinesi e kirghisi, noi li superiamo e arriviamo in dogana. Ora stanno controllando i nostri documenti ed ovviamente si sono accorti della data dell'anno scorso. Siamo in macchina e aspettiamo di vedere cosa ci chiedono.
Dopo circa una mezzoretta, compare Domenico con il via libera e libero di 150 dollari: friends solve the problem.

La strada si inerpica ancora arriviamo al passo e dall'altra parte del cancello si trova mikali, con un cartello giardini.... lo seguiamo e la strada si getta a picco nella valle un gran canyon colorato ma largo. Non ci azzardiamo a fare foto, stanno finendo di montare filo spinato sul confine e sulla strada....dopo circa 20 km un controllo vero e proprio dei bagagli, relativamente rapido e indolore, mentre la fila dei TIR si allunga. Davanti a noi un pulmino di turisti, che piu o meno hanno la stessa prassi. Rimessi in macchina si continua la discesa, la strada e relativamente buona, molti nuovi insediamenti. Arrivati alla fine della valle, di nuovo camion in fila per la disinfestazione. Ora è molto caldo, polveroso, i camionisti cercano ombra che non c'è, mi salva un sudoku. Dopo circa una ventina di minuti, arrivano due tizi che aprono una specie di idrante che colpisce me a piedi e non la macchina e si passa alla tappa successiva, in una specie di dogana semivuota, dove si riscaricano i bagagli e si rifa il controllo passaporti. Siamo soli, sono gentili, sequestrano due coltelli cinesi comprati in Kirgistan per tagliare la frutta e i fiammiferi. Spostiamo sul van i bagagli e domenico porta la macchina in un enorme garage pieno di TIR dove risulta fare i raggi x alla macchina. Da li ad un altro garage, dove lasciamo la macchina per un giorno. Si sono fatte le 19 ora di Kashgar, le 21 ora di Pechino... qui continuano ad usare entrambe e c' e luce fino alle 22.30 (di pechino). La guida felice ci annuncia che dormiamo al radisson blu, il migliore e unico albergo che vedremo nel viaggio e prova a farci mangiare qui, ma noi più resistenti lo convinciamo a portarci e lasciarci nel ristorante uiguro più famoso della città. Sembra di entrare in un ristorante arabo mussulmano, pieno di legno e specchi e a parte un menu elettronico in inglese, nessuno parla una parola. Ordiniamo molto e non tutto arriva, ma siamo richiesti per le foto. Si mangia con le bacchette o gli spiedi con le mani, ci passano davanti pianti immensi di ossa, frutta, zuppe, fredde e calde. Il tutto con the di diversi tipi, quello locald da noi scelto conspezie e zafferano e servito con miele. Alla fine stremati anche noi, mangiamo due spiedini di montone che si erano dimenticati  e chiudiamo con la serata.Internet funziona ma non i blog....