Sonntag, 9. Juli 2017

Riflessioni di Domenico 3

Riflessioni di viaggi III

Gli ultimi dieci giorni ci hanno fatto attraversare realtà davvero molto diverse tra loro, la Cina è piena di sorprese.

Scendendo dal Tibet, si arriva nella zona più turistica dello Yunnan, con cittadine che hanno mantenuto un centro storico ancora originale, come Linjang, Shaxi, Dali e Shangri-La. Sono tenute molto bene, anche troppo, e sono invase dal turismo cinese. Parliamo del vero turismo di massa, in molti punti non si passa, ricorda Venezia di anni fa durante il Carnevale; ognuna di queste città è famosa per i prodotti artigianali locali – per esempio sculture di legno a Shaxi (spettacolari) o pettini di corno e biscotti di petali di rosa a Dali – e il centro storico è una fila ininterrotta di centinaia di negozi uguali che vendono tutti le stesse cose. Tutte cose di qualità, che il turista cinese compra compulsivamente.
Il turista cinese è molto esigente e si aspetta che tutto sia organizzato a perfezione. Noi abbiamo spesso visto in alto sui ghiacciai svizzeri comitive di turisti cinesi in scarpe da ginnastica, che si guardano intorno e faticano a capire, e ci siamo chiesti perché non fossero equipaggiati meglio. Ora è chiaro. Qui sul ghiaccio costruiscono una lunghissima passerella di legno così che il turista non corre rischi e può andarci in scarpette; un percorso nella foresta a vedere gli elefanti selvaggi è una splendida passerella di legno a 20 metri d’altezza, larga tre metri e lunga chilometri, comoda e asciutta, niente sanguisughe, niente fango, accessibile a tutti, ci sono i portantini per le persone più anziane, eliminando ogni rischio e portando l’avventura democraticamente a livello di tutti. Tutto questo costa, e il turista cinese paga volentieri, con biglietti d’ingresso per un qualsiasi museo, una città storica o anche solo per l’area di sosta sulla strada per fare una bella foto, che sono notevolmente più costosi di qualsiasi museo italiano. 

Le persone che incontriamo, sia i locali che i turisti, sono in generale molto gentili ma non parlano una parola di inglese. Dappertutto ci sono cartelli che spronano alla pulizia e al rispetto per la natura, ma gli uomini cinesi mantengono abitudini che per noi sono difficili da accettare (ora non vorrei sembrare offensivo, Mario non me ne voglia): sono molto rumorosi quando mangiano, con sonori rutti di apprezzamento; se bevono, bevono sul serio e cantano; spingono, saltano la fila e stanno appiccicati tra loro a distanza millimetrica (a parziale scusante, sono tanti …); sputano in continuazione, anzi, per usare una vecchia parola bolognese, scaracciano (la componente sonora è molto importante); fumano tanto e ovunque, per esempio in camera e in ascensore, e spengono le sigarette dappertutto, per esempio sulla moquette della camera in albergo; mangiano qualsiasi cosa che nuoti, voli, corra o strisci, e più è costoso e ricercato, più lo vogliono; buttano carte e bottiglie di plastica per terra, preferibilmente nei posti più fotogenici, e solo qualche volta nei bidoni della differenziata che si trovano ovunque. Detta così sembra deprimente, ma ci sono naturalmente anche molti aspetti positivi, e la situazione sta rapidamente cambiando nelle città più grandi e cosmopolite.

Passata Dali, abbiamo improvvisamente cambiato continente. Scesi in basso, l’aria si è fatta calda e umida; distese a perdita d’occhio di colline scoscese con le nuvole attaccate ai fianchi; per strada le bancarelle vendono ananas, banane, funghi porcini (buonissimi!) e una miriade di altre frutte e verdure tropicali, tutto molto colorato; i ristoranti sulla riva del fiume offrono pesce e gamberi; in alto sulle colline si attraversano foreste pluviali e boschi di bambù altissimi, scendendo piantagioni di tè, tabacco, e risaie a terrazze; per strada e nelle risaie, mandrie di bufali. In campagna, sono piccoli di statura e di fisico minuto, siedono sui talloni invece che per terra, lavorano nelle risaie e portano i cappelli a cono tipici dell'Indocina, tengono tutto in una cesta sulla schiena tenuta su da una fascia sulla testa, o in due ceste attaccate a una barra di bambù in equilibrio sulla spalla. È un paese di confini intricati e con una storia molto complessa, ogni valle è abitata da una etnia con dialetti e costumi diversi; Kalsang, la guida tibetana che ci accompagna, è un pò persa, qui non parlano nemmeno mandarino, lui è più lontano da casa di noi.

Abbiamo anche incontrato il monsone, non piove sempre, due-tre volte al giorno, ma quando piove fa sul serio, con scrosci d'acqua feroci, veri muri che oscurano l’orizzonte, quando ci si entra con la macchina sembra notte, qualsiasi ombrello o impermeabile è inutile, l’acqua rimbalza da sotto in su  e arriva da tutte le direzioni. La stagione delle piogge è all’inizio, ma il Mekong e gli altri fiumi sono già carichi e rossi di fango. Aumenta anche il rischio di alluvioni e di frane; il giorno dopo che siamo passati noi, una frana enorme ha travolto macchine e strada nel Nord dello Yunnan, dove di strade ce n’è una sola; se fossimo arrivati il giorno dopo, avremmo dovuto fare un lungo e complicato giro per il Sichuan. 

Lo Yunnan meridionale è la grande provincia del tè della Cina, e Pu’Er è una delle capitali mondiali della produzione del tè. La città è grande e circondata di colline coperte di piantagioni; il mercato all’ingrosso del tè è veramente uno spettacolo, a noi che siamo abituati a microscopiche bustine fa impressione veder spostare e scambiare simili quantità di tè (usano grandi badili di legno e enormi sacchi). Per servire il tè in Cina tradizionalmente si usa un enorme tavolo di legno massiccio, tagliato da un tronco centenario e con colori naturali molto belli (provenienza le grandi foreste del Laos e Birmania) e per contrasto un set da tè piccolissimo, con teiera e tazzine minuscole (da due sorsi); si mettono le foglie nella teiera, si versa l’acqua bollente e si lascia in infusione 15-20 secondi prima di riempire le tazzine; la prima passata serve solo a inumidire le foglie di tè e si butta; con le stesse foglie si fanno 10-15 passate, con il sapore che diventa più amaro a ogni passata. 
Abbiamo comprato tè nero, tè verde, tè fermentato di Pu’Er, tè bianco, tè stagionato vari anni e pressato in forme a disco, tè a foglia intera, tè con le foglie arrotolate a palline, tè con le foglie legate in un una specie di fiocco che quando si versa l’acqua si apre come se fosse un fiore. Abbiamo una valigia solo di tè.

L’ultima sorpresa della Cina è stata la provincia più meridionale dello Yunnan, lo Xinshabannà, al confine con Birmania, Laos e Vietnam, e con l’area del triangolo d’oro, da sempre dominata da popolazioni locali e restia al controllo governativo. Da sempre città di confine e di scambio, la capitale Jonghong ha mantenuto un centro vivace e con tanti mercati tradizionali, con la giada e le pietre dalla Birmania, il legno pregiato dal Laos, il pesce del Mekong, il te da Pu’Er. Si vende e si compra di tutto.
Ma la vera sorpresa è la periferia, che stanno trasformando in una specie di gigantesca Disneyland. La città è circondata da enormi complessi di hotel e condomini con palazzi dall’architettura ardita alti dieci-venti piani, parchi a tema sulla riva del Mekong, un livello di lusso veramente sorprendente costruito per famiglie cinesi agiate che comprano o affittano appartamenti in una zona tropicale della Cina. I costumi delle minoranze etniche locali sopravvivono solo in villaggi mantenuti per questo tipo di turismo. Noi eravamo in hotel in un enorme complesso che include Hliton, Sheraton, CrownPlaza e una nuova città con incluso un mall modernissimo, di tipo americano; appartiene alla catena Wanda, che sta costruendo simili complessi nelle aree più attrattive in giro per la Cina. Il tutto questo è stato realizzato in meno di 5 anni.

Non c’è più una bicicletta. Trent’anni fa a Pechino e nelle altre città non c’erano macchine private o moto, ma solo fiumi di biciclette. Oggi le biciclette sono sparite, non ne è rimasta una, solo moto o macchine. Nelle città, le moto sono in prevalenza elettriche, non per risparmio energetico, ma per ridurre l’inquinamento; silenziosissime, non si sentono arrivare fino all’ultimo secondo, molto pericolose per i pedoni ignari come noi. Fuori città, la moto è il mezzo di trasporto di riferimento; niente caschi, molto cariche, a volte due mamme con tre bambini, a volte la famigliola di quattro o cinque. Guidare in città o in campagna con così tanti motorini in giro è un esercizio di destrezza.

Ultime riflessioni sulla Cina, per la parte che abbiamo visto noi. Sta cambiando rapidamente (questa è un’ovvietà), molto più rapidamente di quanto non si osservi dall’esterno, ma allo stesso tempo mantengono forti le loro tradizioni. Insomma un dinamismo molto moderno, ancorato nei valori del passato. C’è molto evidentemente un controllo centrale molto forte, ma non si ha l’impressione che la gente ne sia limitata, anzi. Nell’insieme rimane la sensazione di una grande forza, di un paese che lavora giorno e notte senza interruzione, che costruisce infrastrutture di qualità a ritmo sbalorditivo, dove tutti hanno acqua, luce e un telefonino, un paese che non si ferma o neanche rallenta davanti a nessuno. Noi siamo rimasti molto impressionati e un pò spaventati.

In questo viaggio abbiamo sempre mangiato benissimo, dalla cucina dell’Asia centrale nel Xinjiang a quella più povera del Tibet alla straordinaria varietà e bontà della cucina dello Yunnan e dell’Indocina. Cucina spesso piccante, anzi piccantissima qui a Sud; l’altra sera abbiamo contato nei nostri piatti un centinaio di pezzi di peperoncino (non esagero), una quantità che non consumiamo nemmeno in un anno in Svizzera. Per me che sono daltonico, distinguere i peperoncini rossi dai cipollotti verdi è un esercizio difficile, e pericoloso quando fallisce.
L’igiene in cucina in Cina è migliorata molto. Al ristorante non lavano più i piatti sporchi, ma li danno a una ditta che lava, sterilizza e sigilla, e arrivano in tavola ancora sigillati. Per tradizione, al mercato si compra solo pesce e pollame vivo, il pesce tenuto dentro vasche, il pollo in gabbie di bambu; si sceglie, e il pesce viene sventrato e pulito lì davanti e messo in un sacchetto ancora guizzante, mentre il pollo viene portato dietro, e ritorna pulito e spennato dopo un minuto. 

Uscendo dalla Cina verso il Laos, un’altra lunga guidata tra colline abitate da etnie varie, che in passato erano regni autonomi che si combattevano tra loro, ora sono sotto i governi di Cina e Laos. A Luang Prabang non c’è turismo cinese, ma tanti turisti occidentali, abbiamo sentito parlare italiano per la prima volta da quando abbiamo lasciato Almaty. Splendida città con un tipico carattere indocinese abbinato a un impianto coloniale francese, nell’architettura, nella cucina e nello stile di vita. Come in tutta l’Indocina, anche qui la religione torna prepotente, dopo la pausa dello Yunnan, con tanti monasteri buddisti e monaci vestiti di arancione. La cerimonia dell’elemosina comincia alle 5:30 di mattino e va avanti per due ore, ogni giorno. I cittadini locali, elegantissimi,  sono seduti ai bordi delle strade e mettono le offerte (riso, soldi, caramelle) nelle ceste di centinaia di monaci che passano in fila, e questi a loro volta depositano parte delle donazioni appena ricevute nelle ceste dei bambini più poveri, seduti in fila insieme a quelli che fanno le donazioni; un sistema di ridistribuzione delle risorse complicato, ma apparentemente efficace.
Il Laos, dopo le varie vicissitudini legate alla storia coloniale, alle guerre di liberazione, alla guerra del Vietnam e alla successiva fase di disgregazione della società che ha stravolto Laos e Cambogia, vorrebbe entrare nella modernità come hanno fatto i vicini cinesi, ma il processo è lento. Paese con 7 milioni di abitanti, il 75% ha un reddito medio di 2 $ al giorno, l’economia vive di esportazione di legname e caffe, turismo e produzione idroelettrica. Dighe, strade, ponti, macchine, camion, è tutto costruito da gruppi cinesi, in pratica è una piccola provincia dello Yunnan. 

Il nostro viaggio è finito. Abbiamo venduto la macchina, a una famiglia con un’attività di tuk-tuk.
È stato un viaggio facile, siamo stati molto fortunati, 20’800 km di traversata senza alcuna rottura o incidente o imprevisto, è andata molto bene.
Un viaggio davvero bello, di grandissimo interesse, al di là di tutte le aspettative.

Siamo seduti in terrazza, sul Mekong, sta arrivando un’altra passata di pioggia, si vedono già i lampi.

Freitag, 7. Juli 2017








22 e ultima tappa: Tappa: Junghong - Luang Prabang (Laos)


Ci muoviamo presto, non sappiamo come e quanto lungo sarà il passaggio Cina -Laos.
Per strada ci sono camion, l'autostrada non è ancora finita, ma si arriva veloci. In macchina ci accorgiamo che un souvenir, conservato per ben 20 giorni e portato su e giù è rimasto in albergo e proveremo a recuperarlo. Tempo di parcheggiare la macchina e siamo già fuori dalla Cina, un saluto affettuoso a Kalsang, con cui abbiamo condiviso 25 intensi giorni, e anche Domenico passa con la macchina, come ricordo le patenti e a targa cinese.
Dopo pochi metri prima dogana del Laos, più polverosa e disorganizzata, ma dopo una serie di rimpalli tra gli addetti passiamo senza visto e senza dolore. Cantiamo vittoria troppo presto, dobbiamo passare la dogana commerciale, tutto in un'area polverosa e piena di camion e con scrosci di pioggia. Tutto sommato in meno di  due ore siamo fuori. Io spingo per arrivare alla meta stasera, senza ulteriori deviazioni, ci sono solo 280 km...la strada non è comparabile a quelle cinesi, tutta una curva su e giù per colli e con alberi di gomma, terrazze di riso, piantagioni di banane e villaggini di casette di legno con tanti bambini e bancarelle di frutta.
La velocità massima è di 40-50 km/ ora, ogni tanto scrosci di pioggia e scorci con colori vivi. Foto al Mekong, compagno fedele dell'ultima parte del viaggio, ai tanti bambini che si fanno il bagno per strada, come spuntino una specie di lichi, marrone molto saporito.
Arriviamo in città con ancora luce, cerchiamo l'albergo prenotato, ma poi ne scegliamo un'altro con un balcone sul fiume.
In giro ci sono solo occidentali, ci danno quasi un po' fastidio, ma mangiamo con forchetta e coltello una cena molto buona. Visita della città, souvenir e vendita della macchina a domani.

Donnerstag, 6. Juli 2017

Jinghong e dintorni


Oggi escursione comoda nelle vicinanze per visitare i villaggi di minoranze etniche. Dopo una selezione di tutte le colazioni, incontriamo Kalsang, completamente spaesato ma sempre presente e ci mettiamo in moto. Due errori dei navigatori e la notizia che il mercato chiude mettono Domenico di cattivo umore. La strada attraversa una pianura ben coltivata a riso, canna da zucchero, mais, con un notevole traffico. Un posto di blocco, pre-confine birmano ci rallenta, ma poi lasciamo la pianura per risalire la collina. Stanno rifacendo la strada, metà è di cemento, l'altra di sterrato con 30 cm di gradino che impedisce il passaggio da una all'altra. Tutti si muovono su quella di cemento e i passaggi, numerosi, sono al filo e aumentano i caprlli bianchi di Domenico. Quando arriviamo praticamente nel mezzo di nulla, troviamo un mercatino carino con poche persone e bancarelle, di cui solo alcune donne ed uomini anziani portano un abito pseudo tradizionale. La polizia ha tutti i nostri dati e chiama o Kalsang per dirgli di non avvicinarci oltre al confine. Un po' delusi, nonostante degli gnocchetti di riso dolci, cerchiamo un villaggio vicino. Sulla stradinasi vedo o 2 contadine che raccolgono il the, la strada ci porta in un villaggio dormiente, con le case di legno e tetti di ondulina, un tempio in ricostruzione di tipo thailandese e praticamente nessuno in giro. Le minoranze sono finite....
Ritornando ci fermiamo in un mercato più  grande, vivace, pieno di frutta tropicali, pesci, rane vive, tofu verdure di tutti i tipi.
Tornando in città sosta tecnica in un mall per comprare l'ennesima valigia. Il posto è molto chic, quello che noi vogliamo non è in vendita. In un specie di sottosuolo facciamo il nostro acquisto economico, "cinese" nel senso europeo.
Smontiamo la macchina, decidiamo cosa buttare, regalare, mantenere. Domenico non si rassegna all'idea di lasciare la macchina.
Per cena decidiamo di andare al mercatino notturno, ma arriviamo in un posto incredibile: sulla riva del Mekong hanno costruito dal nulla alberghi, templi, spianate, arene. Parcheggiamo e passeggiamo nel mercatino, tra souvenir e cibo, poi scegliamo un locale all'aperto che domina la scena. Arriva la manager giovane e ordiniamo una cena sontuosa con il translator. Cena veramente gustosa: zuppa di tre verdure selvatiche, un pesce intero in salsa di soia, un pollo arrostito con noccioline croccanti e una verdura, tutto senza peperoncino. Comincia la musica, la ragazza torna con due birre, continua a versare i bicchieri e comunicare con translator.
Lasciamo la Cina sbigottiti di quello che abbiamo visto, una Disney nel mezzo di nulla, con una ricchezza e uno sfarzo che non si immagina e che cambia la realtà sociale e geografica in uno due anni.

Mittwoch, 5. Juli 2017







21 Tappa: Pu er - Jinghong


Stamattina non piove, facciamo colazione al ristorantino di ieri sera, traformato per colazione in noodle e wanton. Andiamo al mercato del the, veramente incredibile,; tr a molti negozi con sacchi di the fuori dai negozi e luoghi dove vengono inscatolati the sfusi, tra negozi di tavoli da tavoli da the, di legno pesante con meccanismi di rilascio d'acqua e staue gigantesche di leoni, bufali d'acqua, scegliamo un negozio per farci spiegare e assaggiare i the. Ci sono mille varietà, le tazzine sono piccoline e la preparazione richiede un lavaggio del the, una prima prova, una seconda. Il the di Pu er e il the di Pu er, non nero, non verde... ci sono annate diverse, compattate e non. Facciamo acquisti per tutti, poi il ragazzo ci porta in un posto a comprare tazzine, anche se consiglia di comprarle su alibaba e a visitare il parco che circonda la città con le coltivazione di the. Ben contenti ci rimettiamo sull'autostrada che attraversa una delle riserve naturali dello Yunnan, con ancora elefanti selvatici. La sosta vale tutto, solita passerella, molto comoda sulla foresta tropicale, ovovia orizzontale per circa due chilometri sulla foresta, turisti cinesi in ciabatte, ma paesaggio favoloso. Incontriamo 3 specie di scimmie, di cui una quasi umane e una specie di panda minore. Io molto soddisfatta,Domenico infastidito dall'aspetto facilitato del parco. Dopo pochi km, si apre all' improvviso una città holliwodiana, con grattacieli finiti e in costruzione sul mekong. Stasera non si sbaglia Hilton super nuovo, acquisti di giada e cena cinese.

20 Tappa: Dali - Pu er

Io non conoscevo nulla di Pu er e del suo the, ma Domenico come al solito è ferratissimo e nonostante la lonely planet non segnali la zona, decidiamo di puntare a questo luogo sconosciuto come tappa del nosTro viaggio. Uscire dalla città non è facile, anche se a colazione abbiamo avuto le specialità locali, crepe di riso con topping di noccioline e zuccherino. I navigatori, maps.me e il cinese più Kalsang ed io non siamo all'altezza. Lasciamo l'autostrada ben presto e sotto una pioggia torrenziale cominciamo la nostra salita e discesa su delle colline/montagne. Sulla strada si vedono sempre più risaie a terrazze, ananas, granturco, nelle aree di montagna si vendono prosciutti crudi che passano la  prova qualità di un emiliano. Davanti a noi TIR di dimensioni abnormali, senza troppo traffico. La pioggia impedisce di far foto. Attraversiamo il Mekong in vari punti, valle stretta prima di una diga, piú largo e navigabile. All'improvviso nella valle si apre una città nuovissima in costruzione, come tante altre ma con grattacieli. Facciamo una sosta tecnica, indicando al cuoco il orsce che felice sta in una vasca e dopo alcuni minuti nel nostro piatto con erbe miste.
Ci alterniamo alla guida, la strada non e veloce e corre su e giu sulle colline, a tratti vendono funghi. Arriviamo sfatti a Pu er, anche qui teatri e centri culturali in costruzione, tutto nuovo. Non troviamo l'albergo previsto, siamo stanchi, optiamo per il primo che ci capita, forse un hotel ad ore. Ottima cena a base di spiedini misti, compreso pesce e cervello.