Mittwoch, 21. Juni 2017

Riflessioni politiche, geografiche e religiose di Domenico


Questa sera siamo al campo base dell’Everest, nell’ostello del monastero di Rongphu, a oltre 5000m di quota, abbiamo appena visto uno spettacolare tramonto sulla parete nord dell’Everest, ed è tempo di scrivere alcune riflessioni sulla prima parte del nostro viaggio. C’è veramente tanto da ricordare.

Quest’anno continuiamo il viaggio ripartendo da Almaty in Kazakhstan, dove la fedele macchina ha trascorso l’inverno. Il piano è di finire la traversata dell’Asia centrale e seguire la via della seta fino a Kashgar nel Xinjiang, attraversare il Tibet lungo le catene del Karakoram e Himalaya, attraversare lo Yunnan verso Sud lungo la via del te, e finire in Laos, in Indocina. Il senso del viaggio è quello di una traversata, seguendo la storia, le lingue e le religioni dei popoli che abitano questa immensa area dell’Asia, attraverso i confini naturali e amministrativi, e naturalmente di attraversare alcune tra le zone più affascinanti del pianeta.

Il volo di andata passa per Istanbul. L’aeroporto di Istanbul serve tutta l’Asia Centrale ed è un vero microcosmo, si vedono gruppi di donne turkmene con i costumi fiorati e i grandi turbanti, uomini uzbeki con la barbetta bianca e il cappellino ricamato, kazakhi dalla faccia larga e grandi sorrisi, e naturalmente grandi gruppi di cinesi.  Basta guardarsi in giro per percorrere l’intera via della seta.

L’utilizzo delle mazzette per incrementare i magri salari è comune in tanti paesi, ma in Kirghizistan ha raggiunto livelli folcloristici. Sto parlando delle mazzette da dieci dollari, che uno paga per evitare problemi ma che quando diventano troppe o troppo grosse possono dare sui nervi. Alcuni esempi. Il militare alla frontiera di ingresso, che con cinque parole di inglese mi spiega che lui è un “collector”, un collezionista; io ingenuo chiedo e mi dice che colleziona banconote americane, e gli manca quella da 10$; ringraziando la sorte che non gli manca quella da 100, sorrido e pago. I vigili di Bishkek (la capitale), che quando ci vedono con la macchina straniera da lontano mettono su un enorme sorriso e si piazzano in mezzo alla strada per fermarci, poi mi fanno sedere nella loro macchina e mi fanno vedere sul codice tutti i cartelli e divieti che non avrei rispettato (con una fantasia notevole) e nel frattempo aprono il cassetto del cruscotto, dove si vedono varie banconote; aggiungo la mia e riparto; questo tre volte in un giorno. I doganieri alla frontiera di uscita, che ci spiegano in russo e tre parole di inglese che “car big problem”; dopo varie iterazioni si arriva al capo dogana, che ha in mano l’intero traffico tra Cina e Kirghizistan (fila di 3 km di TIR alla dogana quando siamo passati noi); ci ripete “big problem” ma poi anche “friend help friend”; questo “help” viene quantificato dal suo aiutante in 150$, pagati sull’unghia in un angolo buio della dogana, e tutti i timbri e documenti riappaiono come d’incanto, i camion vengono fatti spostare e ripartiamo tra due ali di doganieri, in pompa magna; tutti amici qui.

Il Xinjiang è una provincia cinese, abitata da Uiguri e Kirghizi, che parlano turco, usano l’alfabeto arabo, sono musulmani, mangiano e si vestono come in Asia centrale. Anche il Tibet è una provincia cinese, ma sono tibetani, buddisti, parlano e scrivono tibetano e hanno ancora oggi usi e costumi tipici di un regno rimasto isolato nel tempo. È abbastanza evidente che Xinjiang e Tibet potrebbero essere stati indipendenti. Si può discutere a lungo ed essere solidali con gli abitanti del Xinjiang e del Tibet, ma le ragioni della geo-politica parlano chiaro. La Cina da sempre ha cercato di estendere il suo impero fino a trovare delle naturali barriere geografiche, insuperabili dai possibili nemici, e queste sono le catene dell’Himalaya e Karakoram a Sud, e Tien Shan a Ovest. In più, dal Tibet scendono i principali fiumi che hanno dato ricchezza alla Cina nella sua storia (fiume giallo e Yangtze) e la Cina vuole controllare le sue risorse idriche; il Xinjiang è il fulcro dell’Asia centrale e confina con 8 stati chiave (India, Pakistan, Afganistan, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakhstan, Russia e Mongolia ) e ha anche le maggiori riserve di idrocarburi del paese. Con il caos che ha seguito la seconda guerra mondiale, la Cina ha completato la sua espansione e i movimenti separatisti e le pressioni internazionali non hanno molte speranze nella situazione attuale.

Lo sforzo che la Cina sta facendo per “cinesizzare” Tibet e Xinjiang è impressionante, su tanti fronti: la costruzione di infrastrutture, strade, scuole, ospedali; elettricità e acqua in ogni casa; la migrazione di cinesi Han, non forzata ma “incoraggiata” con sovvenzioni, posti di lavoro e posizioni privilegiate; la costruzione di case e quartieri, quasi intere città, con lo scopo di sradicare il nomadismo e trasferire le popolazioni dei piccoli villaggi verso città più grandi; un vero e proprio stato di polizia, con posti di blocco, richiesta di documenti, telecamere installate ovunque, caserme di polizia gigantesche in ogni villaggio, per controllare movimenti separatisti (che qui bollano come terroristi); grandi investimenti strategici per il turismo (prevalentemente cinese) in Tibet e per la nuova via della seta in Xinjiang (autostrade, ferrovie veloci, pipelines). Già oggi, ci sono più cinesi Han in Tibet che tibetani, e lo stesso è per il Xinjiang.

Sulle strade del Tibet si incontrano soprattutto moto, trattori a tre ruote, e grandi SUV (che noi chiamavamo gipponi). I gipponi sono prodotti da un numero quasi incredibile di marche, ma fondamentalmente ricadono in quattro categorie: modelli importati (tipo il classico Toyota Land Cruiser), modelli co-prodotti in Cina da ditte straniere (ancora il classico Land Cruiser coprodotto da Toyota e da una ditta cinese; gli autisti cinesi dicono che le macchine co-prodotte in Cina costano meno ma valgono ancora meno), modelli stranieri copiati in Cina da ditte cinesi (come il Land Wind, copia fedele del Land Rover), e infine i gipponi disegnati e fabbricati da ditte cinesi (tipo Haval). Questi ultimi sarebbero ottimi, se solo non ci fosse il fenomeno sociale di copiare i modelli occidentali e giapponesi.

Abbiamo visitato le rovine dell’impero di Goche, che occupava il Tibet Meridionale, scomparso oltre mille anni fa. Storie di tre fratelli in guerra tra loro. Il re di Goche vuole lasciare il buddismo, il fratello che è il leader buddista chiede aiuto all’altro fratello, a sua volta re del Ladack (la provincia indiana confinante, detto il piccolo Tibet), questo arriva e spazza via tutto, uccidendo entrambi i fratelli e prendendo il controllo del Tibet. Insomma, sembra di  leggere le stesse storie che hanno costruito l’Europa. Sulle rovine di Goche sono poi stati costruiti monasteri buddisti, spazzati via dalla rivoluzione culturale di Mao. 

Il monte Kailash è al centro di una catena parallela all’Himalaya, all’interno del Tibet. Alto 6’700m, domina l’orizzonte da tutte le direzioni e ha tutto per essere una montagna sacra. Dal Kailash partono quattro fiumi nelle quattro direzioni, tra cui il Brahmaputra verso Est, l’Indo a nord-ovest e il Sutlej, il più lungo degli affluenti del Gange, verso sud-ovest. Il Gange e il Brahmaputra – i fiumi sacri della religione induista – partono dallo stesso punto del Tibet in direzioni opposte, uno drena l’intera catena Himalayana a Nord e l’altro a Sud, e si rincontrano dopo migliaia di chilometri alla foce, nel Sunderbonds del Bangla Desh, dove Salgari ha ambientato alcuni suoi libri.
Il Kailash ha base quadrata con pareti vertiginose, e su una delle facciate la neve e gli strati rocciosi formano una gigantesca svastica molto evidente (la svastica è un simbolo sacro per gli Hindu). Tutte le grandi religioni asiatiche hanno il mito della grande montagna, da cui scorrono quattro grandi fiumi che danno la vita all’intera regione e questa montagna è identificata con il Kailash, che è sacro per le principali religioni asiatiche e meta di imponenti pellegrinaggi. Per capirci, il Kailash è il dominio di Shiva e sua moglie Parvati per gli Hindu, e il lago Manasovar, a poca distanza, è sacro per Brahma; nel lago ha fatto il bagno la madre prima di dare nascita a Buddha e li sono state versate parte delle ceneri di Gandhi. Insomma, più sacri di così non si può. Arrivano migliaia di pellegrini dall’India, dopo un viaggio lungo e faticoso attraverso l’Himalaya, fanno il bagno nel lago e la chora (il giro in senso orario) attorno al Kailash, tre giorni di trekking con neve e condizioni di alta quota. Si rimane sbalorditi a vedere intere famiglie indiane, inclusi i nonni, partire pregando per questo pellegrinaggio. I più vecchi e deboli non sempre ce la fanno, e vengono riportati giù a dorso di yak e cremati sul posto – per loro una morte sacra. La religione qui da ancora identità a interi popoli.


Om mani pande hum è il mantra più usato nelle cerimonie buddiste. Om significa "il suono che era all’origine dell’universo”; nella fede buddista l’universo ha avuto origine con un suono forte e basso – quello “hum” che si sente sempre entrando nei monasteri buddisti. L’origine dell’universo – e a seguire l’origine della vita e l’origine dell’uomo – è una delle domande su cui da sempre la scienza lavora più attivamente, tra bigbang, onde gravitazionali, relatività generale e unificazione delle forze. Ma ogni religione fin dall’inizio si è posta la stessa domanda e ha dato una sua interpretazione di cosa c’era all'inizio. Nella Genesi è la luce la creazione del primo giorno. L’idea che all’inizio ci fosse solo un grande suono o una gran luce, è una rappresentazione affascinante e molto attuale.

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