Sonntag, 9. Juli 2017

Riflessioni di Domenico 3

Riflessioni di viaggi III

Gli ultimi dieci giorni ci hanno fatto attraversare realtà davvero molto diverse tra loro, la Cina è piena di sorprese.

Scendendo dal Tibet, si arriva nella zona più turistica dello Yunnan, con cittadine che hanno mantenuto un centro storico ancora originale, come Linjang, Shaxi, Dali e Shangri-La. Sono tenute molto bene, anche troppo, e sono invase dal turismo cinese. Parliamo del vero turismo di massa, in molti punti non si passa, ricorda Venezia di anni fa durante il Carnevale; ognuna di queste città è famosa per i prodotti artigianali locali – per esempio sculture di legno a Shaxi (spettacolari) o pettini di corno e biscotti di petali di rosa a Dali – e il centro storico è una fila ininterrotta di centinaia di negozi uguali che vendono tutti le stesse cose. Tutte cose di qualità, che il turista cinese compra compulsivamente.
Il turista cinese è molto esigente e si aspetta che tutto sia organizzato a perfezione. Noi abbiamo spesso visto in alto sui ghiacciai svizzeri comitive di turisti cinesi in scarpe da ginnastica, che si guardano intorno e faticano a capire, e ci siamo chiesti perché non fossero equipaggiati meglio. Ora è chiaro. Qui sul ghiaccio costruiscono una lunghissima passerella di legno così che il turista non corre rischi e può andarci in scarpette; un percorso nella foresta a vedere gli elefanti selvaggi è una splendida passerella di legno a 20 metri d’altezza, larga tre metri e lunga chilometri, comoda e asciutta, niente sanguisughe, niente fango, accessibile a tutti, ci sono i portantini per le persone più anziane, eliminando ogni rischio e portando l’avventura democraticamente a livello di tutti. Tutto questo costa, e il turista cinese paga volentieri, con biglietti d’ingresso per un qualsiasi museo, una città storica o anche solo per l’area di sosta sulla strada per fare una bella foto, che sono notevolmente più costosi di qualsiasi museo italiano. 

Le persone che incontriamo, sia i locali che i turisti, sono in generale molto gentili ma non parlano una parola di inglese. Dappertutto ci sono cartelli che spronano alla pulizia e al rispetto per la natura, ma gli uomini cinesi mantengono abitudini che per noi sono difficili da accettare (ora non vorrei sembrare offensivo, Mario non me ne voglia): sono molto rumorosi quando mangiano, con sonori rutti di apprezzamento; se bevono, bevono sul serio e cantano; spingono, saltano la fila e stanno appiccicati tra loro a distanza millimetrica (a parziale scusante, sono tanti …); sputano in continuazione, anzi, per usare una vecchia parola bolognese, scaracciano (la componente sonora è molto importante); fumano tanto e ovunque, per esempio in camera e in ascensore, e spengono le sigarette dappertutto, per esempio sulla moquette della camera in albergo; mangiano qualsiasi cosa che nuoti, voli, corra o strisci, e più è costoso e ricercato, più lo vogliono; buttano carte e bottiglie di plastica per terra, preferibilmente nei posti più fotogenici, e solo qualche volta nei bidoni della differenziata che si trovano ovunque. Detta così sembra deprimente, ma ci sono naturalmente anche molti aspetti positivi, e la situazione sta rapidamente cambiando nelle città più grandi e cosmopolite.

Passata Dali, abbiamo improvvisamente cambiato continente. Scesi in basso, l’aria si è fatta calda e umida; distese a perdita d’occhio di colline scoscese con le nuvole attaccate ai fianchi; per strada le bancarelle vendono ananas, banane, funghi porcini (buonissimi!) e una miriade di altre frutte e verdure tropicali, tutto molto colorato; i ristoranti sulla riva del fiume offrono pesce e gamberi; in alto sulle colline si attraversano foreste pluviali e boschi di bambù altissimi, scendendo piantagioni di tè, tabacco, e risaie a terrazze; per strada e nelle risaie, mandrie di bufali. In campagna, sono piccoli di statura e di fisico minuto, siedono sui talloni invece che per terra, lavorano nelle risaie e portano i cappelli a cono tipici dell'Indocina, tengono tutto in una cesta sulla schiena tenuta su da una fascia sulla testa, o in due ceste attaccate a una barra di bambù in equilibrio sulla spalla. È un paese di confini intricati e con una storia molto complessa, ogni valle è abitata da una etnia con dialetti e costumi diversi; Kalsang, la guida tibetana che ci accompagna, è un pò persa, qui non parlano nemmeno mandarino, lui è più lontano da casa di noi.

Abbiamo anche incontrato il monsone, non piove sempre, due-tre volte al giorno, ma quando piove fa sul serio, con scrosci d'acqua feroci, veri muri che oscurano l’orizzonte, quando ci si entra con la macchina sembra notte, qualsiasi ombrello o impermeabile è inutile, l’acqua rimbalza da sotto in su  e arriva da tutte le direzioni. La stagione delle piogge è all’inizio, ma il Mekong e gli altri fiumi sono già carichi e rossi di fango. Aumenta anche il rischio di alluvioni e di frane; il giorno dopo che siamo passati noi, una frana enorme ha travolto macchine e strada nel Nord dello Yunnan, dove di strade ce n’è una sola; se fossimo arrivati il giorno dopo, avremmo dovuto fare un lungo e complicato giro per il Sichuan. 

Lo Yunnan meridionale è la grande provincia del tè della Cina, e Pu’Er è una delle capitali mondiali della produzione del tè. La città è grande e circondata di colline coperte di piantagioni; il mercato all’ingrosso del tè è veramente uno spettacolo, a noi che siamo abituati a microscopiche bustine fa impressione veder spostare e scambiare simili quantità di tè (usano grandi badili di legno e enormi sacchi). Per servire il tè in Cina tradizionalmente si usa un enorme tavolo di legno massiccio, tagliato da un tronco centenario e con colori naturali molto belli (provenienza le grandi foreste del Laos e Birmania) e per contrasto un set da tè piccolissimo, con teiera e tazzine minuscole (da due sorsi); si mettono le foglie nella teiera, si versa l’acqua bollente e si lascia in infusione 15-20 secondi prima di riempire le tazzine; la prima passata serve solo a inumidire le foglie di tè e si butta; con le stesse foglie si fanno 10-15 passate, con il sapore che diventa più amaro a ogni passata. 
Abbiamo comprato tè nero, tè verde, tè fermentato di Pu’Er, tè bianco, tè stagionato vari anni e pressato in forme a disco, tè a foglia intera, tè con le foglie arrotolate a palline, tè con le foglie legate in un una specie di fiocco che quando si versa l’acqua si apre come se fosse un fiore. Abbiamo una valigia solo di tè.

L’ultima sorpresa della Cina è stata la provincia più meridionale dello Yunnan, lo Xinshabannà, al confine con Birmania, Laos e Vietnam, e con l’area del triangolo d’oro, da sempre dominata da popolazioni locali e restia al controllo governativo. Da sempre città di confine e di scambio, la capitale Jonghong ha mantenuto un centro vivace e con tanti mercati tradizionali, con la giada e le pietre dalla Birmania, il legno pregiato dal Laos, il pesce del Mekong, il te da Pu’Er. Si vende e si compra di tutto.
Ma la vera sorpresa è la periferia, che stanno trasformando in una specie di gigantesca Disneyland. La città è circondata da enormi complessi di hotel e condomini con palazzi dall’architettura ardita alti dieci-venti piani, parchi a tema sulla riva del Mekong, un livello di lusso veramente sorprendente costruito per famiglie cinesi agiate che comprano o affittano appartamenti in una zona tropicale della Cina. I costumi delle minoranze etniche locali sopravvivono solo in villaggi mantenuti per questo tipo di turismo. Noi eravamo in hotel in un enorme complesso che include Hliton, Sheraton, CrownPlaza e una nuova città con incluso un mall modernissimo, di tipo americano; appartiene alla catena Wanda, che sta costruendo simili complessi nelle aree più attrattive in giro per la Cina. Il tutto questo è stato realizzato in meno di 5 anni.

Non c’è più una bicicletta. Trent’anni fa a Pechino e nelle altre città non c’erano macchine private o moto, ma solo fiumi di biciclette. Oggi le biciclette sono sparite, non ne è rimasta una, solo moto o macchine. Nelle città, le moto sono in prevalenza elettriche, non per risparmio energetico, ma per ridurre l’inquinamento; silenziosissime, non si sentono arrivare fino all’ultimo secondo, molto pericolose per i pedoni ignari come noi. Fuori città, la moto è il mezzo di trasporto di riferimento; niente caschi, molto cariche, a volte due mamme con tre bambini, a volte la famigliola di quattro o cinque. Guidare in città o in campagna con così tanti motorini in giro è un esercizio di destrezza.

Ultime riflessioni sulla Cina, per la parte che abbiamo visto noi. Sta cambiando rapidamente (questa è un’ovvietà), molto più rapidamente di quanto non si osservi dall’esterno, ma allo stesso tempo mantengono forti le loro tradizioni. Insomma un dinamismo molto moderno, ancorato nei valori del passato. C’è molto evidentemente un controllo centrale molto forte, ma non si ha l’impressione che la gente ne sia limitata, anzi. Nell’insieme rimane la sensazione di una grande forza, di un paese che lavora giorno e notte senza interruzione, che costruisce infrastrutture di qualità a ritmo sbalorditivo, dove tutti hanno acqua, luce e un telefonino, un paese che non si ferma o neanche rallenta davanti a nessuno. Noi siamo rimasti molto impressionati e un pò spaventati.

In questo viaggio abbiamo sempre mangiato benissimo, dalla cucina dell’Asia centrale nel Xinjiang a quella più povera del Tibet alla straordinaria varietà e bontà della cucina dello Yunnan e dell’Indocina. Cucina spesso piccante, anzi piccantissima qui a Sud; l’altra sera abbiamo contato nei nostri piatti un centinaio di pezzi di peperoncino (non esagero), una quantità che non consumiamo nemmeno in un anno in Svizzera. Per me che sono daltonico, distinguere i peperoncini rossi dai cipollotti verdi è un esercizio difficile, e pericoloso quando fallisce.
L’igiene in cucina in Cina è migliorata molto. Al ristorante non lavano più i piatti sporchi, ma li danno a una ditta che lava, sterilizza e sigilla, e arrivano in tavola ancora sigillati. Per tradizione, al mercato si compra solo pesce e pollame vivo, il pesce tenuto dentro vasche, il pollo in gabbie di bambu; si sceglie, e il pesce viene sventrato e pulito lì davanti e messo in un sacchetto ancora guizzante, mentre il pollo viene portato dietro, e ritorna pulito e spennato dopo un minuto. 

Uscendo dalla Cina verso il Laos, un’altra lunga guidata tra colline abitate da etnie varie, che in passato erano regni autonomi che si combattevano tra loro, ora sono sotto i governi di Cina e Laos. A Luang Prabang non c’è turismo cinese, ma tanti turisti occidentali, abbiamo sentito parlare italiano per la prima volta da quando abbiamo lasciato Almaty. Splendida città con un tipico carattere indocinese abbinato a un impianto coloniale francese, nell’architettura, nella cucina e nello stile di vita. Come in tutta l’Indocina, anche qui la religione torna prepotente, dopo la pausa dello Yunnan, con tanti monasteri buddisti e monaci vestiti di arancione. La cerimonia dell’elemosina comincia alle 5:30 di mattino e va avanti per due ore, ogni giorno. I cittadini locali, elegantissimi,  sono seduti ai bordi delle strade e mettono le offerte (riso, soldi, caramelle) nelle ceste di centinaia di monaci che passano in fila, e questi a loro volta depositano parte delle donazioni appena ricevute nelle ceste dei bambini più poveri, seduti in fila insieme a quelli che fanno le donazioni; un sistema di ridistribuzione delle risorse complicato, ma apparentemente efficace.
Il Laos, dopo le varie vicissitudini legate alla storia coloniale, alle guerre di liberazione, alla guerra del Vietnam e alla successiva fase di disgregazione della società che ha stravolto Laos e Cambogia, vorrebbe entrare nella modernità come hanno fatto i vicini cinesi, ma il processo è lento. Paese con 7 milioni di abitanti, il 75% ha un reddito medio di 2 $ al giorno, l’economia vive di esportazione di legname e caffe, turismo e produzione idroelettrica. Dighe, strade, ponti, macchine, camion, è tutto costruito da gruppi cinesi, in pratica è una piccola provincia dello Yunnan. 

Il nostro viaggio è finito. Abbiamo venduto la macchina, a una famiglia con un’attività di tuk-tuk.
È stato un viaggio facile, siamo stati molto fortunati, 20’800 km di traversata senza alcuna rottura o incidente o imprevisto, è andata molto bene.
Un viaggio davvero bello, di grandissimo interesse, al di là di tutte le aspettative.

Siamo seduti in terrazza, sul Mekong, sta arrivando un’altra passata di pioggia, si vedono già i lampi.

Freitag, 7. Juli 2017








22 e ultima tappa: Tappa: Junghong - Luang Prabang (Laos)


Ci muoviamo presto, non sappiamo come e quanto lungo sarà il passaggio Cina -Laos.
Per strada ci sono camion, l'autostrada non è ancora finita, ma si arriva veloci. In macchina ci accorgiamo che un souvenir, conservato per ben 20 giorni e portato su e giù è rimasto in albergo e proveremo a recuperarlo. Tempo di parcheggiare la macchina e siamo già fuori dalla Cina, un saluto affettuoso a Kalsang, con cui abbiamo condiviso 25 intensi giorni, e anche Domenico passa con la macchina, come ricordo le patenti e a targa cinese.
Dopo pochi metri prima dogana del Laos, più polverosa e disorganizzata, ma dopo una serie di rimpalli tra gli addetti passiamo senza visto e senza dolore. Cantiamo vittoria troppo presto, dobbiamo passare la dogana commerciale, tutto in un'area polverosa e piena di camion e con scrosci di pioggia. Tutto sommato in meno di  due ore siamo fuori. Io spingo per arrivare alla meta stasera, senza ulteriori deviazioni, ci sono solo 280 km...la strada non è comparabile a quelle cinesi, tutta una curva su e giù per colli e con alberi di gomma, terrazze di riso, piantagioni di banane e villaggini di casette di legno con tanti bambini e bancarelle di frutta.
La velocità massima è di 40-50 km/ ora, ogni tanto scrosci di pioggia e scorci con colori vivi. Foto al Mekong, compagno fedele dell'ultima parte del viaggio, ai tanti bambini che si fanno il bagno per strada, come spuntino una specie di lichi, marrone molto saporito.
Arriviamo in città con ancora luce, cerchiamo l'albergo prenotato, ma poi ne scegliamo un'altro con un balcone sul fiume.
In giro ci sono solo occidentali, ci danno quasi un po' fastidio, ma mangiamo con forchetta e coltello una cena molto buona. Visita della città, souvenir e vendita della macchina a domani.

Donnerstag, 6. Juli 2017

Jinghong e dintorni


Oggi escursione comoda nelle vicinanze per visitare i villaggi di minoranze etniche. Dopo una selezione di tutte le colazioni, incontriamo Kalsang, completamente spaesato ma sempre presente e ci mettiamo in moto. Due errori dei navigatori e la notizia che il mercato chiude mettono Domenico di cattivo umore. La strada attraversa una pianura ben coltivata a riso, canna da zucchero, mais, con un notevole traffico. Un posto di blocco, pre-confine birmano ci rallenta, ma poi lasciamo la pianura per risalire la collina. Stanno rifacendo la strada, metà è di cemento, l'altra di sterrato con 30 cm di gradino che impedisce il passaggio da una all'altra. Tutti si muovono su quella di cemento e i passaggi, numerosi, sono al filo e aumentano i caprlli bianchi di Domenico. Quando arriviamo praticamente nel mezzo di nulla, troviamo un mercatino carino con poche persone e bancarelle, di cui solo alcune donne ed uomini anziani portano un abito pseudo tradizionale. La polizia ha tutti i nostri dati e chiama o Kalsang per dirgli di non avvicinarci oltre al confine. Un po' delusi, nonostante degli gnocchetti di riso dolci, cerchiamo un villaggio vicino. Sulla stradinasi vedo o 2 contadine che raccolgono il the, la strada ci porta in un villaggio dormiente, con le case di legno e tetti di ondulina, un tempio in ricostruzione di tipo thailandese e praticamente nessuno in giro. Le minoranze sono finite....
Ritornando ci fermiamo in un mercato più  grande, vivace, pieno di frutta tropicali, pesci, rane vive, tofu verdure di tutti i tipi.
Tornando in città sosta tecnica in un mall per comprare l'ennesima valigia. Il posto è molto chic, quello che noi vogliamo non è in vendita. In un specie di sottosuolo facciamo il nostro acquisto economico, "cinese" nel senso europeo.
Smontiamo la macchina, decidiamo cosa buttare, regalare, mantenere. Domenico non si rassegna all'idea di lasciare la macchina.
Per cena decidiamo di andare al mercatino notturno, ma arriviamo in un posto incredibile: sulla riva del Mekong hanno costruito dal nulla alberghi, templi, spianate, arene. Parcheggiamo e passeggiamo nel mercatino, tra souvenir e cibo, poi scegliamo un locale all'aperto che domina la scena. Arriva la manager giovane e ordiniamo una cena sontuosa con il translator. Cena veramente gustosa: zuppa di tre verdure selvatiche, un pesce intero in salsa di soia, un pollo arrostito con noccioline croccanti e una verdura, tutto senza peperoncino. Comincia la musica, la ragazza torna con due birre, continua a versare i bicchieri e comunicare con translator.
Lasciamo la Cina sbigottiti di quello che abbiamo visto, una Disney nel mezzo di nulla, con una ricchezza e uno sfarzo che non si immagina e che cambia la realtà sociale e geografica in uno due anni.

Mittwoch, 5. Juli 2017







21 Tappa: Pu er - Jinghong


Stamattina non piove, facciamo colazione al ristorantino di ieri sera, traformato per colazione in noodle e wanton. Andiamo al mercato del the, veramente incredibile,; tr a molti negozi con sacchi di the fuori dai negozi e luoghi dove vengono inscatolati the sfusi, tra negozi di tavoli da tavoli da the, di legno pesante con meccanismi di rilascio d'acqua e staue gigantesche di leoni, bufali d'acqua, scegliamo un negozio per farci spiegare e assaggiare i the. Ci sono mille varietà, le tazzine sono piccoline e la preparazione richiede un lavaggio del the, una prima prova, una seconda. Il the di Pu er e il the di Pu er, non nero, non verde... ci sono annate diverse, compattate e non. Facciamo acquisti per tutti, poi il ragazzo ci porta in un posto a comprare tazzine, anche se consiglia di comprarle su alibaba e a visitare il parco che circonda la città con le coltivazione di the. Ben contenti ci rimettiamo sull'autostrada che attraversa una delle riserve naturali dello Yunnan, con ancora elefanti selvatici. La sosta vale tutto, solita passerella, molto comoda sulla foresta tropicale, ovovia orizzontale per circa due chilometri sulla foresta, turisti cinesi in ciabatte, ma paesaggio favoloso. Incontriamo 3 specie di scimmie, di cui una quasi umane e una specie di panda minore. Io molto soddisfatta,Domenico infastidito dall'aspetto facilitato del parco. Dopo pochi km, si apre all' improvviso una città holliwodiana, con grattacieli finiti e in costruzione sul mekong. Stasera non si sbaglia Hilton super nuovo, acquisti di giada e cena cinese.

20 Tappa: Dali - Pu er

Io non conoscevo nulla di Pu er e del suo the, ma Domenico come al solito è ferratissimo e nonostante la lonely planet non segnali la zona, decidiamo di puntare a questo luogo sconosciuto come tappa del nosTro viaggio. Uscire dalla città non è facile, anche se a colazione abbiamo avuto le specialità locali, crepe di riso con topping di noccioline e zuccherino. I navigatori, maps.me e il cinese più Kalsang ed io non siamo all'altezza. Lasciamo l'autostrada ben presto e sotto una pioggia torrenziale cominciamo la nostra salita e discesa su delle colline/montagne. Sulla strada si vedono sempre più risaie a terrazze, ananas, granturco, nelle aree di montagna si vendono prosciutti crudi che passano la  prova qualità di un emiliano. Davanti a noi TIR di dimensioni abnormali, senza troppo traffico. La pioggia impedisce di far foto. Attraversiamo il Mekong in vari punti, valle stretta prima di una diga, piú largo e navigabile. All'improvviso nella valle si apre una città nuovissima in costruzione, come tante altre ma con grattacieli. Facciamo una sosta tecnica, indicando al cuoco il orsce che felice sta in una vasca e dopo alcuni minuti nel nostro piatto con erbe miste.
Ci alterniamo alla guida, la strada non e veloce e corre su e giu sulle colline, a tratti vendono funghi. Arriviamo sfatti a Pu er, anche qui teatri e centri culturali in costruzione, tutto nuovo. Non troviamo l'albergo previsto, siamo stanchi, optiamo per il primo che ci capita, forse un hotel ad ore. Ottima cena a base di spiedini misti, compreso pesce e cervello.

Montag, 3. Juli 2017

Foto




19 Tappa: Shaxi - Dali


Veniamo coccolati a colazione da due signore gentili, che ci portano una colazione internazionale. Si cominciano a vedere sul piatto e nei mercati frutti esotici, come dragonfly, ananas, frutti della passione, mangustine..
Facciamo due passi nella cittadina, praticamente è tutta un'offerta di colazione, dal formaggio al porridge ai noodle, alle patate ripassate. Riesco a frenare Domenico che vorrebe provare un po di tutto. Facciamo i bravi turisti, visitiamo il tempio, tutto rinnovato anche con il contributo dell'ETH e soprattutto una casa padronale della famiglia bene dei Naxi. Il cortile è aperto, ci vivono ancora e la signora ci apre i cortili, la cucina e la cappella. Le case sono alte, bianche e sempre decorate con disegni tipo acquarello, più spesso in bianco e nero.
Ci mettiamo in autostrada, saltiamo un po di paesi, piove.
Arriviamo a Shaping, primo paesino sul lago Erhai, dove oggi c'è mercato. Chiediamo istruzioni ai locali, ma nessuno capisce il cinese, poi vediamo gente con i canestri e parcheggiamo nella strada stretta. Il mercato è all'aperto con tende di fortuna per la pioggia a cui nessuno fa particolare caso, a parte le donne che proteggono il copricapo con una fascia. Tutti ci salutano e ci offrono la merce, the, spezie, frutta e verdura, canestri e l'immancabile cibo. Vediamo un gruppo di donne scendere da una collinetta e le raggiungiamo. Sono tante colorate e vestite eleganti, pantaloni di velluto con mostrina di strasse, giubbino, grembiule copricapo e orecchini. Si siedono in un tempio di minuscole dimensioni, una vicina all'altra, vanno e vengono. Ci facciamo molte foto. Nel mercato c'è una signora che vende bigiotteria, le chiedo degli orecchi locali e dopo pochi minuti mi trovo ben circondata da tutte le donne che danno consigli.
Non c'è struttura di paese, qualche bella casa e quindi ripartiamo per Dali. Dali è famosa per le tre pagode o stupa alla tibetana, alte e stagliate sulla collina. Ora sono inglobate in una struttura turistica molto piu complessa e frequentata, ma sono molto suggestive, nonostante i cinesi si faccia o portare su e giù da pulmini elettrici. L'albergo e centralissimo, ci sono vie pedonali piene di negozi per cinesi, facciamo i nostri acquisti, nel caso dei vestiti limitato dalla mia taglia e scegliamo un ristorante tipico Bai, con pescini e gamberetti di fiume fritti con alghe saltate, vongole di fiume e funghi.

Sonntag, 2. Juli 2017




18 Tappa: Lijiang - Shaxi


Decidiamo di prendercela calma e rallentare il ritmo, dopo la colazione (arachidi saltate, cavolo e carote saltate con peperoncino, non assaggiate, e il porridge di riso, ci dirigiamo al mercato nella città vecchia, ricco di verdura, frutta, carne, pesce vivo, polli e gente contante facce diverse. Domenico vorrebbe provare tutto...passiamo alla parte culturale e visitiamo il palazzo di Mu, importante figura dei Naxi. Non so perché il tutto cosi pulito e curato, con i canali di acqua e i bonsai ci fa pensare al Giappone più che alla Cina. Il paese non si è ancora svegliato, ci sono solo, pochi gruppi per strada e i negozi tardano ad aprire. Il cielo è coperto ma non piove. Ci fermiamo nel mezzo del centro storico in una hall di cibo, file di piccole porzioni di tutti i colori e specie. Niente insetti solo un dim sum ed una crocchetta di gamberi. Alcuni acquisti inevitabili, qualche flower cake a base di rosa e poi lasciamo alle 12 la città. Torniamo indietro per vedere la Tiger Leap, una gola profonda dove il Fiume Rosso si incanala. Ci sarebbero trekking stremanti per raggiungere dai 3900 metri la gola a 1800, ma per fortuna  non abbiamo tempo e con grande tristezza di Domenico, compriamo i biglietti e ci comportiamo da cinesi.
La gola è lunga 26 km, la seguiamo vedendo il fiume in fondo alla valle e la strada bella stretta a picco. Poi scendiamo a piedi con comode ma ripide scale sul letto del fiume, dove gli schizzi dell'acqua arrivano a noi e tutta la violenza e potenza dell'acqua sono uno spettacolo. Soddisfatti ci rimettiamo in macchina, ripercorriamo per la terza volta una parte della valle del Fiume Rosso e poi facciamo la deviazione per Shaxi. La nostra guida non è mai stata da queste parti, ci assicura che su internet ci trova da dormire. La strada si fa sempre più stretta a campagnola e arriviamo in una valle con le piantagioni di riso, le prime.
Il paese da lontano non offre molto, arriviamo al limite della città vecchia e gli chiedo di puntare al miglior albergo. Scegliamo una stanza con giardinetto privato su una piscinetta naturale e partiamo alla scoperta di questo esemplare unico di caravanserraglio sulla vi del the e del sale.
Incontriamo una ragazza spagnola che vive qui da molti anni, ci racconta che è un po il paradiso per chi vuole staccare dalla città. Praticamente è un unica strada acciottolata con negozi di sculture di legno, bellissime e pesantissime, una piazzetta con due templi e un ponte vecchio. Ottima cena, a base di pesce locale, melanzane, zuppa di rapa e formaggio fritto. Di sicuro non stiamo dimagrendo!




17 Tappa: Feila Si - Lijiang


Andiamo a cena in un locale senza menu in inglese e senza foto, ci aiuta il dizionario e un gruppo rumoroso di cinesi, che ci spiega la differenza tra un hot pot di pollo e uno di montone, che noi ordiniamo subito.
Messa la sveglia alla 6.30 per l'alba dobbiamo constatare che la Lonely Planet aveva ragione, le chance di vedere le montagne sono minime e non in questa stagione. Quindi nonostante l'ottima stanza potremo ricordarci solo i quadri e i poster presenti ovunque.
La giornata è veramente meschina, oltre alla pioggia c'e una forte nebbia, per fortuna la strada e ottima, ma non si vede la foresta e si intravedono i rododendri bianchi. La discesa e veloce, facciamo anche una sosta in questi incredibili punti scenici cinesi, a pagamento e dotati di shopping center, toilet, e passerelle per arrivare ai punti panoramici per vedere la curva del Fiume rosso, in fondo alla valle, di colore giallo intenso. Arrivati sulla strada a fondovalle, vedo una grande statua d'oro in alto e costringo Domenico ad una deviazione su una strada strettissima e pendente. La statua non era ancora finita, ma la sosta e piacevole.
Si risale la montagna per arrivare alla piana di Shangri-La, da lontano molto panoramica, ma vasta e moderna. Per vedere il monastero, considerato un secondo Potala, e tutto organizzato e bisogna prendere un pulmini. Pioviccica, ma non ci sono molti turisti e quindi la visita e molto piacevole.
Insultando la guida e me, che come navigatori e come indicatori di destra e sinistra siamo entrambe molto scarsi, arriviamo alla città vecchia, che bruciata nel 2014 è stata ricostruita quasi interamente. Molti negozi di souvenirs, non per europei ma per cinesi, molti hotel nelle case vecchie. Ultimi momo, qui la popolazione è ancora tibetana, un monastero, una praying wheel altissima e poi di nuovo in macchina.
Mi metto alla guida, ma l'autostrada si interrompe bruscamente (si vedono lavori avanzati, piloni e ponti dappertutto) e  mi tocca una strada stretta, piena di traffico, con la pioggia e in discesa.
Poco da raccontare, le case sono cambiate di stile.
Arrivati in valle, decidiamo di non fare la deviazione per la gola del Fiume Rosso, ma di procedere e arrivare in autostrada a Lijiang. Parcheggiamo la macchina nel giardino all'esterno della città vecchia e appena la guida mi chiede il sopralluogo per la camera ( noi siamo un team perfetto, lui chiede no smoking e annusa le lenzuola, con vista, io controllo il bagno e lui contratta il prezzo) accetto subito, perchè sono sfatta, ma è anche un bellissimo posto, in una casa tradizionale. Andiamo subito in giro e siamo esterrefatti difronte alla quantità di cinesi sulle calli, e sui canali stretti. 
Tanti negozi, belli, soprattutto quelli di the, ma anche vestiti, dolci, stoffe, campanelle, tamburi. In particolare due vie, sono piene di bar, con cantanti e dj, è veramente troppo per noi. I ristoranti offrono soprattutto hot pot, noi preferiamo inseguire le indicazioni della lonely planet e troviamo un menu in inglese di grande soddisfazione.

Freitag, 30. Juni 2017

Riflessioni di Domenico II

Riflessioni di viaggio II

Il viaggio continua. Questa sera siamo a Deqem. Qui finisce la lunga catena di montagne Alpino-Himalayana, che parte dalle Alpi (Svizzera !) e ci ha accompagnato l’anno scorso attraverso l'Alborz in Iran, l’Hindu-Kush e il Pamir in Asia Centrale, e quest’anno il Karakoram e l’Himalaya; questa lunghissima catena è generata dalla spinta dell’Africa e della piattaforma indiana contro l’Eurasia, e ha dominato il nostro viaggio. Con oggi finisce la grande catena montuosa, finisce il Tibet e possiamo girare verso sud, attraverso lo Yunnan, verso l’Indocina.

Se guardate l’atlante, in questo angolo di mondo al confine tra Tibet, Yunnan, Assam (India) e Birmania, passano quattro grandi fiumi dell’Asia, molto vicini, a distanza di 30-50 km uno dall’altro; Brahmaputra, Irrawaddy, Mekong e Yangtze. La ragione di questo accavallarsi di fiumi è la storia tettonica di questa regione: se fate un cumulo di terra di qualche metro di dimensione (il Tibet) e ci fate cadere sopra acqua, questa scorre verso l’esterno in tanti rivoli, in ogni direzione; se ora con una ruspa (la piattaforma Indiana) spingete la terra, si creerà un sollevamento sul lato della ruspa (l’Himalaya) e tutti i rivoli che prima scendevano dal lato della ruspa si trovano compressi e scendono lateralmente. Così verso Est in uno spazio ristretto oggi abbiamo valli profonde, separate da montagne di oltre 7’000 metri, che portano l’acqua all’Assam e Bangla Dash (Brahmaputra), Birmania (Irrawaddy), Indochina (Mekong) e Cina (Yangtze). Questo succede anche a Ovest del Tibet, col fiume Indo, ma lì la regione è molto più arida, mentre sul lato orientale si scarica il monsone che viene dal Mar della Cina, e produce l'enorme quantità di acqua che serve tutta l’Asia occidentale. Erano 30 anni che volevo arrivare qua, ma fino a poco tempo fa questa regione di confine era chiusa ai turisti occidentali, e anche oggi arrivarci non è semplice!

Le principali strade del Tibet sono state realizzate e sono mantenute dai militari, e sono delle autentiche opere d’ingegno. Il ruolo dei militari si spiega con l’importanza strategica di raggiungere in ogni stagione e con qualsiasi mezzo l’intero territorio. La ricaduta di queste strade però va ben oltre l’importanza militare, e sta modificando radicalmente la faccia del Tibet. Le strade sono ottime, e i militari lavorano molto per tenerle in buona condizione.

La strada Kashgar-Lhasa è magnifica; attraversa il Tibet occidentale, una regione che non era abitata e dove tutt’ora tutta l’attività si concentra attorno a questa strada. Poco dopo Kashgar, la strada si inerpica fino a 5’000 metri e sale sull’altopiano tibetano. La parte occidentale è costantemente sopra di 4’500 metri, con vari passi oltre i 5’300 metri e catene e montagne fino a 6’500-7’000 metri. L’area è ancora oggi essenzialmente disabitata, i paesini sono piccoli e recenti. L’aria è rarefatta, la luce è molto diretta e intensa; al sole tutto brilla ed è caldo, se passa una nuvola diventa subito buio e freddo; questa luce così intensa crea giochi di ombre e colori spettacolari. La strada si snoda attraverso un’area ancora reclamata dall’India, costeggia il Karakoram e poi l’Himalaya, e offre una profusione di altipiani, montagne senza nome, ghiacciai, zone desertiche con grandi dune di sabbia, zone acquitrinose con acqua di disgelo, notti fredde con cieli stellati, laghi salati, mandrie di yak e tende di nomadi in lontananza, installazioni militari in ogni punto critico della strada. Un vero viaggio.

La Shanghai-Lhasa è una strada mitica in Cina, ha rappresentato per decenni la via per la frontiera. Lasciata Lhasa, dopo due giorni l'altopiano comincia a essere tagliato da valli profonde, l’aria diventa più calda e umida, riappare la vegetazione, con splendide foreste di conifere nelle valli e in alto distese a perdita d’occhio di rododendri coi fiori rosa. In fondo alle valli si scende sotto i 3’000 metri, in alto le montagne sbucano vertiginose sopra le nuvole con vette oltre i 7’000 metri. La strada e la guida si adattano alla topografia: la strada sale e scende in fondo a queste valli scoscese con lunghe serie di tornanti molto esposti, frane e cadute massi, a volte manca la carreggiata, il fiume è un chilometro sotto, a strapiombo in fondo alla valle, non ci si può distrarre un attimo. Ieri abbiamo costeggiato l’Irrawaddy in un canyon rosso con pareti verticali, poi siamo risaliti fino a 5’000 metri e poi ridiscesi nel canyon del Mekong, e poi risaliti di nuovo, sei passi e altrettante valli. Una giornata di guida faticosa e indimenticabile.
Una volta allontanatisi da Lhasa e lasciati i pulmini di turisti cinesi, sulla strada si incontrano lunghe colonne di camion militari e persino una di carri armati, il traffico locale (trattori, muli, pecore, moto, yak, bambini), grandi camion (sono più lunghi dei nostri TIR, sui tornanti non c’è spazio per nessuno), pullman a lunga percorrenza che collegano Cina e Tibet (detti sleepers perché non si fermano mai, si dorme a bordo), carovane di gipponi di turisti cinesi che vanno a Lhasa (hanno l’itinerario stampato sulla fiancata, sono numerati e in contatto radio tra loro), ciclisti cinesi che in gran numero, soli o in gruppo, con il bagaglio attaccato alla bici e coperto da un telo impermeabile, fanno la Pechino-Lhasa o Shanghai-Lhasa, si inerpicano su e giù per i passi, prendono pioggia e neve, spingono come i dannati sulle montagne dell'Himalaya (ne incontriamo 200-300 al giorno) e tanti pellegrini, uomini e donne che percorrono a piedi la strada che attraversa il Tibet per arrivare a Lhasa, alcuni secondo lo stile della chora (ogni pochi metri si stendono a terra sulla strada, dicono una preghiera, si rialzano e ripartono, dopo pochi metri si stendono a terra …, così per 1’000 chilometri). Insomma, tutto un mondo che si concentra sulla strada, affascinante.

L’acconciatura tradizionale maschile prevede un grande orecchino di turchese e oro all’orecchio destro e i capelli neri lunghi in due trecce, riportate in alto e annodate con un grosso cordone di lana rosso, e infilate in un grande anello di corno d’elefante. L’uomo poi veste un giaccone imbottito dalle maniche spropositate, d’estate tengono solo il braccio sinistro infilato, mentre la manica destra vuota penzola dietro la schiena e tocca terra. Fuori dalle città si incontrano tantissimi tibetani acconciati così, ne fanno un vanto dell’identità nazionale. Nelle città, a parte i pellegrini, se ne incontrano meno, e considerando l’enorme sforzo che la Cina sta facendo per concentrare la popolazione nelle città, è facile prevedere che tra una generazione ne rimarranno pochissimi. Un altro elemento della tenuta da festa era la pelliccia di tigre o di leopardo delle nevi, portata davanti come un grembiule; a fine anni 90 il Dalai Lama ha decretato che questa pratica danneggiava la natura e doveva finire, e dal giorno alla notte le pellicce sono sparite.

Il Tibet è notoriamente un altopiano a circa 5’000 metri di altezza, e l’altezza si sente. I primi giorni dopo la salita da Kashgar, salendo ai passi oltre 5’300 metri, manca il fiato, viene mal di testa e si fa fatica a dormire. Dopo due-tre giorni di acclimatamento va meglio, ma dormire oltre i 5’00 metri è sempre faticoso; il fiatone invece ricompare non appena si fa il minimo sforzo, tipo allacciarsi le scarpe o fare una salita di tre metri. I turisti cinesi hanno più problemi degli occidentali, anche perché appena arrivati a Lhasa li portano in alto; girano sempre con la bomboletta di ossigeno, i pullman dei turisti sono equipaggiati così da mantenere l’atmosfera interna arricchita di ossigeno (!), e nei migliori alberghi di Lhasa c’è una speciale sala ossigenata.

Il buddismo lamaista è l’identità stessa del popolo tibetano. Il regno della neve è rimasto sempre molto isolato, ma anche in contatto con Cina e India. Attorno al 800-900, il regno tibetano si è esteso a coprire tutto il Tibet e ha invitato i guru indiani per convertire la popolazione al buddismo, dalla religione Bon che avevano prima (e che sopravvive ancora oggi in aree remote); l’unità del regno è durata poco, e per secoli il paese è rimasto frazionato; nel 1400, col supporto dei mongoli che governavano a Pechino, l’intero Tibet è stato riunito sotto il Dalai Lama, il primo sovrano a governare anche come leader religioso, e da quella volta, con poche corte eccezioni, il governo del Dalai Lama è continuato fino al 1959, quando l’esercito cinese ha invaso il Tibet (nel calendario è chiamata la festa della liberazione, termine che non va tanto giù ai tibetani) e il quattordicesimo Dalai Lama è fuggito all'estero.
La rivoluzione culturale cinese degli anni sessanta ha preso di mira il clero buddista, con lo scopo evidente di sottomettere il popolo tibetano all’ordine cinese. Quasi tutti gli oltre 6’000 monasteri attivi prima dell’invasione sono stati rasi al suolo o seriamente danneggiati, la gran parte dei monaci rispedita a casa ad una vita normale e tutti i lama e i maggiori leader religiosi si sono rifugiati all’estero. Negli ultimi vent’anni la situazione è andata migliorando, con alcuni momenti bui. Oggi 1’271 monasteri (numero fissato per legge) sono stati ricostruiti o restaurati, e molti giovani tornano alla vita monastica, anche se i grandi monasteri che prima avevano fino a 10’000 monaci ognuno oggi ne contano qualche centinaio al massimo. Comunque il buddismo è tenuto sotto controllo, perché ritenuto fonte dei disordini che ci sono stati anche negli ultimi anni; l’ultima grossa crisi si è avuta nel 2008, e ha avuto il risultato di ridurre drasticamente il turismo occidentale; non se ne sente molto parlare, maneggi ultimi quattro anni oltre 160 tibetani (di cui molti monaci e suore) si sono immolati dandosi fuoco sulla piazza, come protesta contro il regime cinese. Il buddismo rimane molto visibile, molto impegnato e come detto rappresenta l’identità stessa del popolo tibetano.

Tanti aspetti del buddismo rimangono impressi. Alcuni esempi:
-  Per iniziare, la sbalorditiva complessità dell’olimpo buddista, con migliaia di diverse rappresentazioni del Buddha, dei vari mastri indiani e cinesi, predicatori, lama;  ogni monastero ha varie sale con migliaia di statue e dipinti di tutte le dimensioni. Poi ci sono le quattro principali sette del buddismo lamaista; ogni setta con diversi colori e costumi, diverse gerarchie ecclesiastiche e diverse combinazioni di statue nei monasteri.
-  I mandala (forse ricorderete che li coloravamo da piccoli) sono rappresentazioni del nirvana fatti con sabbia colorata, del diametro di un paio di metri; vedere un gruppo di monaci chini sul pavimento, che disegnano questo mandala lasciando cadere rivoli di sabbia colorata da lunche cannucce di metallo, con un’incredibile numero di colori e di dettagli, e canti buddisti di accompagnamento, è un’esperienza mistica; ci mettono un paio di giorni, poi dicono una preghiera, spazzano via la sabbia e la spargono in un lago sacro, per ricordare che tutte le cose belle sono effimere.
-  Qui non ci sono cimiteri. In Tibet ancora oggi, anche nelle città e nella capitale, non si seppelliscono i morti, ma si portano in un luogo particolare in alto, fuori città, e si lasciano agli avvoltoi; i morti di malattia infettiva e i bambini, vengono fatti a pezzettini e buttati nel fiume, da uno speciale gruppo di  becchini. Ai turisti occidentali non è permesso avvicinarsi a questi luoghi. 
-  Nel buddismo non c'è la messa settimanale, ma la chora giornaliera; la chora è il giro in senso orario attorno a tutte le statue, gli stupa, e attorno all’intero monastero. La chora attorno agli stupa è breve, e ne fanno tante, a ogni giro aggiungono un sassolino a un cumulo di sassolini, per contare quanti ne fanno. La chora si fa pregando con un rosario; alcuni la fanno stendendosi per terra, pregano, si alzano, fanno tre metri, poi di nuovo per terra; questo anche per la chora esterna al monastero, che a volte è lunga chilometri e si inerpica per la collina, su e giù per i gradini.
-  Una delle tre cause dell’infelicità umana, secondo il buddismo, è l’ignoranza; ogni monastero ha pareti coperte di grandi librerie che raccolgono i testi di preghiera; la parte inferiore di queste librerie è lasciata vuota, e i pellegrini che fanno la chora ci passano sotto a testa bassa, in modo da essere illuminati dalla sapienza dei testi sacri.

Fino ai primi anni di questo secolo, il turismo in Tibet era soprattutto occidentale. Poi, i cinesi hanno cominciato a viaggiare (in tutto il mondo); nel 2006 è stata aperta la ferrovia Pechino-Lhasa; nel 2008 ci sono stati grandi disordini con molte vittime in Tibet e Xinjiang, in origine come protesta contro il governo, poi degenerati in rivolta contro la popolazione cinese Han. Il risultato di questi eventi è che il turismo occidentale è quasi assente in Tibet, mentre il turismo cinese sta diventando di massa, e il Tibet si sta adattando. Lungo la Kashgar-Lhasa, per otto giorni non abbiamo incontrato nessun occidentale, un paio di gruppi li abbiamo incontrati al campo base dell’Everest e più gruppi a Lhasa, ma da quando abbiamo lasciato la capitale non abbiamo visto più un “viso pallido”. Il turismo cinese è concentrato nel raggio di un paio di giorni da Lhasa; arrivano in treno o in aereo e fanno un giro organizzato di 5-8 giorni, girando in pullman (da 30 passeggeri, di più non è permesso). Alberghi, ristoranti e negozi sono orientati al turismo cinese; praticamente nessuno parla inglese (a parte in pochi grandi alberghi di Lhasa). Quando ci incontrano sono molto sorpresi e curiosi, ci fanno tante foto, a noi, con noi, alla macchina, all’interno della macchina, alla targa; quasi nessuno sa dove si trovi la Svizzera, è come se venissimo da Marte.






16 Tappa: Markham - Feila Si - Yunnan

Purtroppo la pioggia e una nebbiolina, segno dell'arrivo della stagione delle piogge, ci accompagnano tutto il giorno. Oggi la tappa non era lunga, abbiamo seguito prima una valle verde con tante case tradizionali, molto belle e decorate, ai piedi della montagna. Il lavoro dei campi è ancora a mano, ma sono curatissimi. Ci fermiamo in un monastero locale, 4 vecchietti sdendati stanno facendo la cora, un monaco ci apre la struttura, campagnola, ma con i suoi murales, budda decorati e offerte di burro di yak. Saliamo un primo passo in una foresta verde, che si intravede a malapena, mentre dall'altra parte a precipizio e più brulla vediamo il canyon  del Mekong. Peccato per le foto, ma la luce manca del tutto. Attraversiamo senza accorgercene il "confine" Tibet - Yunnan, che in questa parte é ancora in prevalenza abitata da tibetani. In quest'area si trova l'unica chiesa cattolica, con ancora un prete, fondata dai missionari francesi. E bufa con una struttura tibetana e il suo campanile bianco. Attrazione lungo la strada sono le saline, per cui decidiamo di investire nel biglietto e nella tenuta della nostra macchina. In effetti la strada , molto stretta e a picco, scende quasi a precipizio sul fiume, in aggiunta alla pioggia e quindi al fondo viscido e alla caduta massi.
Quasi mi pento di aver insistito, ma Domenico è molto attento. Attraversiamo il ponte e si apre un villaggio con case tradizionali, la strada si ferma ad un parcheggio per turisti appena finito.
Procediamo a piedi e arriviamo a delle terrazze su palafitte, su cui viene lasciato seccare la brina proveniente da sorgenti termali sul fiume, che la gente recupera e stende. Oggi piove quindi sono allagate, ma sui cartelli c'è la spiegazione che una parte della valle ha il sale rosa, l'altra riva bianco e che questa salina e attiva da almeno 1300 anni ed era l'unico sale che era trasportato in Tibet. Penso che sia il famoso sale rosa dell'Himalaya, non si pensa mai da dove e come vengano certi prodotti. Le signore locali ne vendono 3 tipi, uno da usare come sale da bagno, rosso marrone come la roccia intorno, uno bianco e uno rosato (il colore rosa piu intenso viene prodotto a marzo). Kalsang che non era mai stato qui, cerca di rispondere alle mille domande tecniche di Domenico, chiedendo il parere della gente. Poi entusiasta ci invita a mangiare in una casa locale i migliori noodle del Tibet. In effetti entriamo in una casa tradizionale e 4 donne ci preparano i noodle, servendoli in un modo strano: prima mettono i tagliolini in una coppetta, a cui aggiungono separatamente il brodo, la carne condita già cotta (in questi caso di maiale) e qualche foglia di erbetta e mentre mangi la coppetta te ne aggiungono man mano degli altri, sempre serviti in una coppa. Noi ci siamo fermati al 4 refill, la guida 8. La risalita è stata ardita ma con successo, breve pausa nel museo locale senza elettricità, con foto del trasporto del sale e poi di nuovo in macchina. Pensavo che lungo il fiume fosse più facile guidare e mi sono offerta; ahimè era una specie di gincana tra sassi e massi caduti, fango e pozze, corsie strette a senso unico non  definito, al limite con il fiume impetuoso e spesso senza barriera o in frana. Ho apprezzato le strade cinesi e sono stata contenta di non aver fatto tutto il viaggio cosi. Abbandonato il Mekong siamo risaliti in quota e ora siamo in camera con vista sul ghiacciaio  del Kawa Carpo, che abbiamo solo intravisto, ma siamo fiduciosi (!) per l'alba.

Donnerstag, 29. Juni 2017

Passo odierno


15 Tappa: Rawok-Markham


La tappa è lunga, il tempo piovoso, ma facciamo subito una deviazione di qualche chilometro per vedere il riflesso delle montagne nel lago.Quando torniamo la strada è bloccata per una frana. Non ci sono alternative che aspettare, per fortuna non a lungo. La strada è stretta e corre sul bordo di fiumi impetuose in gole strette, con caduta sassi, banchine a precipizio, camion.
Domenico guida su e giu per 6 passi tra i 4800 metri e i 5060, separati da valli profonde, con fiumi di colore rosso mattone (affluente dell'Irawadi), marrone (Mekong), cambiando marcia almeno 2000 volte, sulle serpentine strette e a precipizio. Incontriamo per fortuna nell'altra direzione 6 colonne militari ognuna costituita da 30 camion, ci sono TIR sovramisura che salgono lentamente e poche auto private, che corrono e sorpassano come folli. Nei pochi tratti in cui la valle si allarga, casette sparse, in cui viene messo a seccare il grano sul tetto, portato sui somari, campi gialli di colza. Lungo la strada si interrompe l'asfalto e parte un cantiere infinito, con edifici adibiti ad abitazione, non si sa per chi, e negozi e ristoranti. Poi riparte l'asfalto, fino al prossimo incrocio. Tanti yak, mucche e pecore che attraversano la strada ignari del pericolo. La strada sembra non finire mai, è quasi impossibile fare fermate e fotografie, perche non ci sono piazzole di sosta e quando la strada è libera il fiume e talmente lontano che non rende.Molto affascinante. I posti di blocco fermano la nostra strada, escono di solito tutti i poliziotti, ma la comunicazione è scarsissima. Arriviamo belli sfatti in hotel, avrei accettato qualunque cosa, ma non ci va male.Siamo cosi stanchi che decidiamo di mangiare in albergo, risulta che siamo gli unici in una sala grande con 7 persone a disposizione, senza menu in inglese e senza foto. Proviamo ma viene chiamata la guida, che ordina per noi, buono e tanto.
Sono diventata una maestra delle bacchette, come testimoniano le macchie sulle magliette e pantaloni, solo per i dumpling mi faccio dare ancora un cucchiaio!

Mittwoch, 28. Juni 2017

14 Tappa: Tashigang -Rawok

Questo paese continua a stupirci, stamattina pioveva e c'era una nebbia che nascondeva le montagne. Domenico doveva lavorare e ci siamo piazzati a colazione in questo albergo a 5 stelle incredibile. Io oltre a provare di tutto, ho chiacchierato con il manager, che mi ha mostrato le foto con le montagne innevate che si rispecchiano sul lago artificiale, fatto apposta e sulla piscina dei pesci. Volevo assaggiare la tzamba, tipica per colazione in Tibet, e ho chiesto aiuto nel preparare gli ingredienti: farina d'orzo, te al burro di yak e nel mio caso un po di zucchero. Il cameriere cinese era incapace, ho dovuto aggiungere una sacco di farina, mentre il manager mi incoraggiava a fare le polpette a mano. Insomma ho creato una crema tipo nutella..
La strada corre lungo il fiume, che si ingrossa e diventa sempre più impetuoso, la foresta è verdissima, la strada ottima. Incontriamo i primi dei circa 300 ciclisti che si arrampicano su e giu, carichi e vestitissimi per arrivare a Lhasa. Per strada ci sono (pochi) pellegrini che arrivano fino a Lhasa anche loro, prostrandosi quando non passano le macchine.
I fiumi si congiungono, diventano sempre più grossi, cambiano direzione. La strada è praticamente finita l'anno scorso, ma la manutenzione e indispensabile, considerando la zona di frane, il fiume che erode, i camion che la usano. Passiamo in un punto in cui si vedono ancora il ponte sospeso pedonale, il vecchio ponte e il nuovo ponte, che ha un disegno avveniristico. Risaliamo lungo un'altro fiume, anche lui torrentizio, pieno di acqua grigia. Esce il sole, si vedono le vette innevate, ci sono intorno dei 6000-7000, siamo ai confini con Buthan e India. Per fare compagnia alla nostra guida, che rimane una persona schiva e riservata, ci fermiamo a mangiare in uno dei tanti paesi sulla strada, con luminarie da grande città, polverosa e piena di localini, che a noi sembrano tutti uguali. Lui ordina i ravioli cinesi e noi anche. In tutti i locali c'è wifi, controlliamo quindi email e notizie.
Risalendo la valle, cambia la vegetazione, ritornano i pini, di diversi tipi. Facciamo una deviazione per andare a vedere il ghiacciaio Mudui, considerato tra i primi 6 in Cina. Anche alla base stanno costruendo alberghi per turisti (cinesi). Si sale con una strada ottima per 7 km, poi al parcheggio si sceglie o il cavallo o il sentiero di 2 km. Nel parcheggio ci sono solo gipponi o SUV, i pulmann non arrivano qui. Noi optiamo per la seconda opzione, molto sportiva e in maniche corte, ma con crema, a circa 3800 metri di quota saliamo lungo un sentiero lastricato con panchine di cemento, simil legno d'albero e migliaia di divieti e richiami a salvare l'ambiente e non buttare sigarette, tuttavia inascoltati. I gruppetti di cinesi sono tutti coperti di vestiti strambi, mascherine, fazzoletti, quando arriviamo alla piattaforma siamo fotografatissimi. Il ghiacciaio è veramente bello, con un piccolo laghetto grigio, con pezzi di ghiaccio galleggianti, formato da due rami. Le montagne sono bianchissime.
Io decido difronte alle due possibilità di fermata, la piu vicina su un lago, invece di proseguire. La guida garantisce una sistemazione basic. La strada risale sulla valle, c'è una luce eccezionale, e arrivati al lago, il,paese sembra veramente deprimente. Ma era solo una frazione e continuiamo. Sulla nostra destra sul lago si apre una struttura incomprensibile, sembra una torre di aereoporto, con container, una piattaforma sul lago, molto ancora in costruzione.La guida va in perlustrazione e mi chiama molto convinto: nei container hanno creato delle stanze nuovissime, con bagno funzionale di alta classe. Io rido e convinco Domenico a dormire qui. il paese offre ben poco, mangiamo cibo cinese e torniamo nel nostro hotel, pronta a bere una glappa cinese...invece ci sono solo birre europee e il karakoe.

Dienstag, 27. Juni 2017

13 Tappa: Draksumso -Tashigang


Mettiamo la sveglia per vedere l'alba, io mi preparo in fretta e mi metto sul balcone, Domenico deve invece lavorare per un paio d'ore, visto che prevediamo di dormire in casa di una famiglia in montagna. Facciamo una breve colazione cinese, poi io mi metto in relax a leggere sulla terrazza. I cinesi sono tutti partiti, è finalmente caldo. Andiamo a piedi al piccolo monastero raggiungibile con una passerella dal centro visitatori al lago. In realtà rimaniamo sbigottiti dalle costruzioni, dalle passerelle, dai pontili con gommoni e barche veloci, ma godiamo la visita e la foresta. Mentre stiamo per andare via, arriva il primo bus! C'è un bel sole e rifacciamo la strada seguendo il fiume che viene sbarrato da dighe e scende e salta impetuoso, lungo la valle prati di fiori gialli, e sulla strada maiali, yak, mucche.
Ci dobbiamo fermare a Bahi, la cittadina vicina per le registrazioni di rito, fa una gran caldo e la città è tutta nuova, impressionante quanto stiano costruendo. Bisogna fare una sosta prima che la polizia apra, per cui decidiamo di provare il piatto locale, il "pot" di pollo: ci portano su nostra richiesta solo una porzione: un pentolone di terracotta con un brodo in cui è contenuto un pollo a pezzi e tante verdure. In una coppa si prepara il brodo, da bere con erba cipollina e prezzemolo fresco, nell'altra si prepara una salsina e si mettono i pezzi di pollo. Il tutto con le bacchette..alla fine del pollo si mettono nel brodo verdure fresche, lattuga e spinaci. Belli pieni, dobbiamo aspettare ancora un'ora e viandi shopping, in una strada tipo via frattina a roma.
I prezzi sono quasi europei.
Ottenuto il permesso, la guida ci informa che non potremo dormire  da una famiglia, ma in hotel. Visitiamo il monastero di Lalilang, piccolo e appoggiato su una collina di pini, poi riattaversiamo la valle, dove corre un'autostrada, una ferrovia in costruzione, una città in espansione, un fiume impetuoso per risalire al passo di Seqi La (4832 metri) lungo bischi di oini, che passano a cespugli di rododendri in fiore. Gli alberi sono altissimi e in lontananza si vedono le cime innevate tra le nuvole di alcuni 7000. Superiamo numerosi bus di turisti cinesi e speriamo di avere una stanza. La guida e  tranquilla. Il paesaggio e molto bello, la temperatura e diminuita notevolmente, il cielo è scuro. Arriviamo a valle dove di vedono alcune case di mattoni con rifiniture di legno, relativamente nuove. Passiamo di corsa nella nostra idea in cerca dell' hotel nel paesino vicino. Ci troviamo invece in una città creata dal nulla, piena di hotel nuovi di zecca, stile hollywoodiano pseudo tibetano....un albergo nuovissimo, enorm con una stanza ampia, dotato di camino(finto) con legna, molto moderno e di gran stile. Io vorrei solo due momo, la guida è molto incerta. Ci porta nella cittadina finta, con piazze, statue, negozi e ristoranti in costruzione, ma alla fine entriamo nell'unica tea house tibetana.

Montag, 26. Juni 2017


12 Tappa: Lhasa - Draksumso


La mattina presto ricarichiamo la macchina e ci mettiamo in moto, abbiamo una tappa lunga e di strada mista. Infatti si parte con un autostrada nuovissima, non ancora conclusa e dopo circa 50 km l'abbandoniamo per visitare  il monastero di Ganden. Il monastero e la zona che visiteremo è nella zona che più ha subito la rivoluzione culturale ed il. Onastero è in fase di ricostruzione. All'interno si nota poco, la struttura, i dipinti, le statue e le sculture sono sempre molto simili, la storia invece è differente. C'è una leggera nebbiolina e qualche gruppo di monache giovani, tutte rasate. La strada corre parallela al fiume e all'autostrada in costruzione, ci sono buche notevoli e tratti fangosi, con molto traffico in tutte e due le direzioni. Lascio la guida a Domenico, che cosi non dorme. I posti di blocco sono pochi, ci lasciano andare. Al passo di Pa-La (5013 metri) ci sono le statue di enormi yak e tutte le macchine e moto che abbiamo sorpassato. Finiamo nelle foto di tutti, siamo molto popolari e tutti si stupiscono soprattutto per i miei sorpassi. Nel frattempo nell'altra direzione sta salendo una colonna di autoveicoli militati, compreso carriarmati, ci sorridono ma è difficile fare sorpassi. La valle segue il fiume che diventa sempre piu impetuoso, cambia il panorama, arrivano gli alberi, specie di querciole e pini. Ci fermiamo in un punto di polizia a mangiare noodle islamici e verdure saltate. Cambia anche lo stile delle case, piu colorate, nonché i costumi tradizionali, in particolare il cappellino. Si intravedono tra le bandierine colorate ponti sospesi, anacronistici, considerando i piloni dell'autostrada, ci fermiamo ad un ponte di legno, usato con i cavalli per la via del the. Il cielo si annuvola e sembra che ci sia un temporale, ma decidiamo lo stesso di salire al lago Tsodzongo ( i cinesi usano un altro nome), che è la meta preferita del giro tibetano dei cinesi. Infatti incontriamo sulla strada molti pulmini di turisti in discesa. La strada risale una valle con più dighe e salti, la strada è invasa da maialini, yak, mucche e pecore, l'ambiente è molto bucolico. Arriviamo all'ufficio biglietti, un centro modernissimo pieno di sportelli e pronto ad attendere orde di turisti, per fortuna è tardi e non ci sono pulmini. Otteniamo il permesso come primi stranieri di dormire nel resort sul lago, camera con vista. Sul lago si aprono diverse vette a 7000 metri il cielo e azzurro co qualche nuvola. Il paesaggio e idillico, ed io scrivo il blog con il suono di danze cinesi e il tramonto.
La cena con una trota del lago è molto appetitosa ( e costosa).

Sonntag, 25. Juni 2017

Lhasa

Dopo una breve nuotata nella splendida piscina dello Shangri-La, sotto una leggera pioggerellina, partiamo per la visita turistica di Lhasa. Cominciamo con la kora del Potala ( circuito esterno) con molti pellegrini. I negozietti sono strapieni di cibo, tra cui panini, yogurt, e patate fritte sul momento, che noi ovviamente prendiamo subito limitando la razione di peperoncino e altre spezie. Oggi e domenica ed e tutti aperto, ma al circuito sono presenti molte generazioni, con tanti bimbi piccoli e nonni di età indefinibile, vestiti tradizionali ma anche tanta roba moderna. La guida ci aspetta con ansia perchè i biglietti del potala oltre ad essere molto costosi e con diritti di prenotazione per un tempo definito vanno rispettati. Effettivamente c'è una calca notevole, soprattutto di cinesi e una coda che funziona fino ad ottenere l'accesso ma poi diventa una bolgia, tra cinesi e pellegrini che spingono in tutte le direzioni. Diciamo che questo aspetto risulta dominante perchè si ha solo un'ora a disposizione e le camere sono strette, peccato. La storia si intreccia con la politica e la geografia, le tradizioni e la mitologia. Le statue crescono, perché la gente offre oro e vengono aggiunti pezzi o rifacimenti, la manutenzione dell' intero complesso vieneSovvenzionata dai biglietti e il problema principale risulta il fuoco ( mi sono chiesta cosa potrebbe succedere in caso di incendio). Durante la rivoluzione culturale il palazzo è stato risparmiato, in ogni stanza c'è il trono vuoto del dalai lama.
Finita la breve e intensa visita del Potala, non del tutto soddisfacente, chiedo di fare una pausa pranzo leggera. Qui non abbiamo visto dolci o dessert, ma la guida capisce il mio desiderio e ci fa entrare in un negozio microscopico di sciarpe e vestiti per monaci, nel cui retrobottega mangiano pellegrini e monaci. Ordiniamo un sweet tee (te con latte), yogurt di yak, tsanga( palline di burro di yak e farina di orzo, per noi anche con zucchero) e pane locale. Mangiamo temendo il peggio, ma rimaniamo sanissimi.
Dopo pranzo torniamo nella piazza principale difronte al tempio, c'è meno polizia di ieri sera, ma la guida mi indica i cecchini sui tetti pronti ad intervenire. In realtà, mentre i pellegrini fanno i giri, dentro al tempio ci sono prevalentemente turisti cinesi e qualche volta gruppo europeo. La storia del tempio è molto complicata, ma di origine nepalese (legno di sandalo e decorazione lignee delle porte, stile Katmandu) e insieme cinese ( tetti d'oro) con all'interno una delle due statue che rappresentano Budda giovane.
Domenico prova a questionare sulle singole interpretazioni, ma si sta facendo una cultura e riconosce le foto dei diversi lama e forme di Budda. Io sono e resto molto più ignorante. Liberiamo la guida e ci scateniamo per lo shopping, che ci dà grandi soddisfazioni. Figli attenti che arriva qualcosa di inaspettato! I prezzi sono elevati, i venditori di antichità non mostrano il minimo interesse a noi europei, e continuano a mangiare e vedere filmine sul telefonino invece di provare a vendere.
Oggi e la fine del ramadan e il quartiere mussulmano pullula di attività e preparativi per la cena. Noi invece andiamo sotto indicazione della guida in una scaletta losca dove invece troviamo un locale molto fancy  tibetan fusion, con musica locale e hot pot tibetana.
Da domani ricomincia il viaggio e abbandoniamo il lusso.

Samstag, 24. Juni 2017

Lhasa

Fuori pioviccica e approfittiamo del tempo per preparare i vestiti e i bagagli per i prossimi giorni, nonché pianificare le tappe successive. La nostra guida è molto preparata per il Tibet, meno per lo Yunnan. Visto il numero di turisti cinesi , che scelgono lo Yunnan come il Tibet per viaggiare, dovremo fissare qualche alloggio.
Finita la pianificazione, incombenze necessarie come far benzina ( a Lhasa serve passaporto e patente per comprare il carburante, visto che negli ultimi anni più di 180 persone si sono date fuoco per protesta), lavare la macchina, portare i vestiti in lavanderia e poi al monastero Drepung. Visto che con la macchina si sale più in su dell'ingresso, diamo un passaggio a due pellegrine ( nomadi dice la guida, dalla puzza) di cui una di 87 anni. L'usanza vuole che dopo i 79 anni si indossi una specie di camicia/ gilet bianca con 3 simboli sulla schiena.
Siamo gli unici turisti, oggi e sabato e ci sono più pellegrini del solito. La storia del palazzo/ monastero e incrociata con la storia politica del Tibet, molto interessante, ma vi rinvio ai commenti di Domenico o ai libri di storia. 
Nella sala principale ci sono molti monaci che pregano e si può assistere, i pellegrini passano lungo le file dei monaci seduti, nella pausa merenda, e ad ognuno danno un banconota di pochissimo valore e alla fine del giro ricevono una sciarpa bianca. Molto suggestivo. Ci fermiamo di fronte a statue di tutti i tipi, ormai con le facce dei lama siamo ferratissimi. La foto dell'attuale Dalai Lama non si può mostrare e il suo altare viene lasciato vuoto.
Con una leggera pioggerella facciamo una sosta culinaria: spaghettini in brodo di yak e dumpling di yak. Ahimè non  c'è la toilette e l'esperienza dei bagni pubblici (presenti spessissimo) è pesante.
Il pomeriggio passiamo con la macchina attraversando la città moderna ad un altro monastero di Sera, famoso per stampare le scritture, ma soprattutto per la debatte tra i monaci. Sono tanti quasi 80 e divisi a coppie: uno seduto, che dovrebbe dare le risposte e uno in piedi che fa le domande, battendo le mani una volta per ottenere la risposta o  tre volte se non si considera 
soddisfatto. I saggi girano e controllano. Molto interessante. Nel monastero i bambini ricevono una specie di benedizione, con una macchietta nera sul naso. Sono tutti vestiti bene e fanno una lung fila per ricevere questo segno.
Riattraversiamo la città, sempre con traffico e guida pericolosa, lasciamo la macchina e la guida e andiamo nella città vecchia, pullulante di attività e di persone, con un dedalo di stradine. Si gira un angolo e si trova il quartiere mussulmano, tutti gli uomini con un cappellino bianco, le donne con un velo solo in testa, se ne gira un altro è si viene immersi nella folla che fa il giro del monastero, a piedi o a carponi. Ci sono molti controlli all'entrata della città vecchia e si vede polizia ovunque, ma la calca e veramente impressionante. Piccoli acquisti e poi una cena tibetana con vista.

Freitag, 23. Juni 2017

11 Tappa: Xigaze - Lhasa


Partenza tranquilla, a parte i cento turisti cinesi a fare colazione e nell'atrio, molti giovani, molti fumatori con mise improponibili. La strada attraversa la zona agricola di Xigaze, campi di colza e grano, serre di fragole e cocomeri, quando è stagione. Per strada ci sono "api" con contadini a bordo o bambini da accompagnare a scuola, gipponi, pullman tibetani, minibus di turisti. Tutto nuovo di pacca, tranne i passeggeri. La prima meta è il monastero di Gyantse Kumbum, che occupa tutta una collina a ridosso di una cittadina vecchia, in fase di ricostruzione. Sembra un po' dimessa, ci sono i soliti pellegrini. La guida ripete tutti. Nomi impossibili delle varie figure, Domenico corregge e fa domande, a me sembrano tutti differenti e non conta il colore, le mani, le facce per orientarmi. Chiedo il secolo per dare un contributo alla discussione. Di particolare qui ci sono le statue di fango e la stanza dei protettori, ma sempre all' interno del monastero si può salire su uno stupa a 5 piani, con cellette aperte verso l'esterno e una splendida vista sul monastero, i pellegrini seduti a fare picnic o nel giro di preghiera e sul castello che dominava la città. La tappa successiva ci porta ad un lago artificiale di colore cristallino, che non ci emoziona più di tanto. La strada risale e arriva ai ghiacciai, il paesaggio e molto bello. Nel frattempo le nuvole si scuriscono, le. Montagne sono innevate. Ulteriore passo, mini trattativa per comprare due oggetti inutili senza successo e poi io chiedo di fare una deviazione per visitare il monastero di Samding, l'unico diretto da una donna ( che sta a Lhasa). Siamo soli in mezzo a tanti monaci giovani che preparano danze, più anziani che fanno il mandala di sabbia, e quelli che cuciono gli ornamenti. La vista è su un lago sacro Yamdrok tso, che costeggiamo a lungo per dirigerci verso Lhasa. Ai parcheggi con punti di vista oltre alle solite bancarelle, grossi cani di tipo mastino tibetano vengono messi in mostra per farsi la fotografia, in un altro cammelli. La strada risale e riscende con molti tornanti, attraversiamo un affluente del bramaputra e arriviamo a Lhasa con l'autostrada. La città e modernissima, piena di grattacieli in costruzione e striscioni di propaganda. Noi smontiamo i nostri bagagli, polverosi e numerosi allo Shangri-La dove dormiremo nel lusso per i prossimi giorni. La cena ha messo ha dura prova i nostri vestiti e la nostra abilità con le bacchette, avendo scelto un ristorante con fonduta cinese/tibetana ( olio/ brodo) in cui infilare spiedini scelti da noi, di non chiara provenienza e molto scivolosi.

Donnerstag, 22. Juni 2017

Xigaze

Xigaze
Oggi comicia lentamente, dopo una colazione cinese, ricca ma alquanto sconosciuta...
Con un taxi scatenato arriviamo al Monastero di Xigaze, sede non usata attualmente dal Panchen Lama (11 e a Pechino e no qui)..
Siamo i soli turisti, e l'area piena di edifici e piena di tibetani nomadi o cittadini, in costumi tradizionali e non, che seguono in senso orario il percorso tra i vari edifici, prayer wheels, stupa, con barattoli di cera. Sono sorridenti, si lasciano fotografare e ci fotografano. Tutti hanno il telefonino, anche signore anziane quasi più di la che qua.
Per i monaci Apple è un grande sponsor, perché ha impostato il tibetano come lingua...
Visitiamo gli edifici, con il piu grande Budda interno, la tomba del decimo Panchen lama, la tomba del quarto Panchen lama e quella del nono e di quelli precedenti. Tutti sono di legno massiccio, con un'iconografia indiana, molto colorata. Durante la rivoluzione culturale hanno salvato molte delle scritture e statue più piccole, ma ci sono stati danni notevoli, ora invece lo stanno rimettendo tutto a posto e ci sono gruppi di cinesi che arrivano come turisti.
La parte religiosa è difficile da capire, secondo la guida tutti i pellegrini vengono e seguono il cammino e fanno offerte di burro, cera, orzo caramelle e soldini senza in realtà capire nulla ( nonostante le sue spiegazioni io stessa di fronte alla vastità dei budda, lama, protettori non sono  più ferrata).
I monaci collezionano le offerte, i vecchi seduti in angoli fanno una specie di benedizione, distribuendo palline di orzo e formaggio secco con acqua benedetta. L'odore di burro e cera, nonche quello dei pellegrini rimane nel naso. Facciamo una visita accurata e molto soddisfacente, uscendo mangiamo in una tea house tipica, tra pellegrini, monaci e famigliole i nostri momo e dumpling. Ci separiamo dalla guida e ci diamo allo shopping frenetico di Domenico, oggetti di varia natura e uso, con contrattazioni spietate. Ahime il contenuto degli acquisti lo sapranno solo forse i figli e gli amici zurighesi, prima che vengano messi in cantina o distribuiti nelle varie case ( anticipazione: 2 pecore di bronzo, accessori per cinture..). La citta vecchia ha un mercatino locale di collanine e perline, misto a stand di pecore secche.
Da li risaliamo alla fortezza Dzongh, impressionante con pareti alte e bianche, attraversando vecchie casette, in parte ricostruite. Da li c'è una vista sulla piana, con città vecchia e nuova.
Prendiamo una specie di Ape elettrica come taxi, l'uomo nonostante la scritta in cinese e tibetano e la mappa non ci vuole portare in albergo, ma saliamo e domenico con mapsme gli da le spiegazioni e lui tutto contento ci porta in albergo. Dopo un'ora di contatti via email e telefonici con i familiari, ritorniamo al monastero, per fare la khora, cioè il giro esterno dei pellegrini, sul sentiero pieno di prayer wheels e panchine per i pellegrini. I piu estremi, giovani o vecchi lo fanno prostrandosi a terra ogni 3 passi e di sicuro e piu lungo di un chilometro.
Rientriamo nel monastero sotto tuoni e fulmini, non ci sono piu i pellegrini ma gruppi cinesi, ma l'atmosfera rimane magica. Cena nepalese con bistecca di yak ( scelta da me, molto occidentale e criticata da domenico alle prese con una masala di agnello piccantissimo), acquisti sportivi e poi a nanna.