Mittwoch, 20. Juli 2016

Nona tappa - Hattusa, Amasya


Abbandonato il turismo di massa e le autostrade, attraversiamo l'altopiano coltivato, in fase di raccolta. I nostri compagni di strada sono trattori e vecchie macchine con signori con la coppoletta nera. Nel cielo ci sono delle nuvole e risaliamo di quota, con una temperatura fresca e ideale per visitare il sito archeologico degli ittiti, che occupa tutta la collina e i cui pezzi archeologici più importanti, comprese le porte, si trovano nel museo di Ankara, mentre in quello locale sono rimasti solo pochi pezzi. Ci vuole molta immaginazione ma il fascino è grande. Adiacente in un altro sito le tombe sono fiancheggiate da altorilievi. Siamo soli e dopo un cocomero mangiato sulle rovine, ripartiamo alla volta di Amasya. Riprendiamo le autostrade e saliamo ancora verso la montagna, per arrivare in questa città, patria di Strabone, ma famosa per le tombe dei re pontici e dalle casette ottomane lungo il fiume. Rapida visita e comune decisione di far tornare il sorriso a Giulia andando a mangiare alle 19 in un ristorante fuori città in alto e con vista la specialità locale, Tokap kebab, spiedino di agnello e melanzane, cotto in verticale. Eravamo gli unici stranieri, il posto era popolare ma relativamente costoso, con tanti gruppi familiari, di giovanni donne, famiglie e fidanzati. Menu rigorosamente in turco, ma tutti gentili e tra tedesco e inglese e copia da altri ospiti abbiamo avuto una magnifica cena. Le donne portano velo, impermeabile, ma anche molte senza nulla. Difronte al nostro albergo in una delle case ottomane sul fiume, nella piazza di nuovo una manifestazione, tutti gli edifici e le macchine hanno bandiere turche e davanti a grandi schermi da cui veniva registrata una manifestazione in un'altra città si raggruppano folle con bambini, vecchi, vecchie e giovani. Lungo il fiume la strada era bloccata e tutti passeggiavano, mangiando gelati, pannocchie e/o un bicchiere di chicchi di mais, condito a piacere. Dal nostro albergo si vede la situazione e ci addormentiamo con i canti (stonati) inneggianti alla Turchia. La gente in generale ci ferma e ci chiede da dove veniamo, prova a parlarci in uno stentato inglese, spesso tedesco. Ogni tanto incontriamo macchine di emigrati in vacanza, anche loro interessati a scambiare due frasi e ad aiutare. I messaggi dei nostri famigliari e le notizie ci fanno riflettere sulla situazione. In realtà non abbiamo visto esercito o polizia, mentre dappertutto, dai minareti alle case, macchine o anche per strada ci sono bandiere turche.

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